La riflessione potrebbe essere quella sul potere. Sulla trasformazione dell'uomo che ogni potere comporta e sull'immagine che di esso si crea. Napoleone, esiliato sull'isola d'Elba, sembra essere un vecchio attore che ha paura di aver perduto il proprio pubblico.
Immagine del potere.
E' ingrassato ("Mi guardate? E che cosa trovate di troppo? E che cosa mi manca? Sentiamo. Pancia in più. Capelli in meno. E gli occhi? Ho ancora gli occhi d'aquila? In confidenza, quest'occhio d'aquila non credo di averlo mai avuto..."), annoiato, chiuso nella sua stanza prepara la propria leggenda, detta il testo del proprio mito. Perché l'uomo di potere senza la leggenda, senza il mito non è nulla. Ed è questo l'ingrato compito che toccherà a Martino, protagonista del film. Quello di trascrivere su un taccuino sempre a portata di mano le memorie dell'imperatore, i suoi pensieri, le sue riflessioni. Martino, però, è anche un ragazzo idealista e sognatore. Maestro nella scuola locale, una volta licenziato, si ritrova a lavorare per Napoleone. Martino è pieno di ideali romantici e rivoluzionari, per lui Napoleone è quello che ha tradito mezza Europa, il condottiero figlio della rivoluzione francese che si è trasformato in un sanguinario tiranno, colui che sui campi di battaglia ha fatto morire migliaia di giovani. Virzì fa convergere nella figura di Martino quella forza rivoluzionaria legata all'esaltazione della politica che solo i ventenni possono avere. Dice il regista: "Da tempo rimuginavo il proposito di raccontare in un film la stagione del fervore politico giovanile, che per quanto mi riguarda ha avuto luogo in un'epoca recente. Quell'esaltazione romantica che può portare un giovanotto di buone letture e d'animo idealista a sentirsi investito dal destino di compiere un gesto eroico, per dirla in maniera foscoleggiante, a personale detrimento ma a beneficio dell'umanità".
Martino inizierà così a escogitare tutta una serie di tentativi per uccidere Napoleone. In questa parte, forse la più divertente del film, Virzì non risparmia il suo giovane aspirante eroe da una rappresentazione che ne mostri tutti i limiti e anche la ridicolaggine, presente come non mai in chi crede ciecamente nel proprio ostentato ribellismo. Martino, in un certo senso, vuole essere un eroe rivoluzionario. Ma il suo comportamento è solo il frutto di tutti i libri letti e delle sue fantasie. E infatti è letterario prima di tutto il suo desiderio di uccidere Napoleone. Le lunghe lettere scritte per i posteri racchiudono così tutto il suo modo di pensare. Ed è qui che il film si apre alla commedia in maniera pregevole e ironica avendo allo stesso tempo la capacità di cogliere le molteplici sfaccettature dell'animo umano. Virzì riesce in questo modo a demitizzare contemporaneamente ribelli e tiranni, riportandoli alla loro umanità, fatta come sempre di un miscuglio di comportamenti giusti e sbagliati, sempre in bilico tra l'astrattezza delle idee e la concretezza di quello che siamo, del nostro corpo e dei nostri sentimenti. Infatti nella messa in pratica del proprio pensiero Martino si verrà a scontrare con la realtà dell'avere davanti un uomo in carne ed ossa e non più il simbolo del suo odio politico.
Dice Furio Scarpelli (uno degli sceneggiatori): "Questo testo vive nella dialettica tra i due personaggi, lo scrivano Martino Papucci e Napoleone: Martino vede da vicino l'oggetto del suo furore politico, e piano piano non riesce più ad odiarlo perché lo scorge nella sua debolezza. Quando si ha di fronte l'uomo e non più soltanto l'emblema e l'immagine, non si riesce più a provare odio, per poter odiare una persona forse non la si deve conoscere".
Così la scoperta dell'uomo che esiste dietro l'immagine porta Martino a una nuova consapevolezza. Quella che Napoleone in fondo sembra essere solamente un uomo noioso e annoiato, autocelebrativo, malinconico, a volte spiritoso e a volte molto patetico. L'odio di Martino quindi inizia a diminuire, fino al momento in cui tra i due sembra instaurarsi una sorta di amicizia. Ma questo non è altro che un trucco di Napoleone, che in realtà, a causa della noia provata sull'isola, si è solo divertito a giocare con il giovane ragazzo. Napoleone incarna pienamente la malizia del potere, capace di fingere e trasformarsi, capace di mostrare l'uomo cortese e pacato mentre in realtà dietro la maschera nasconde ancora il tiranno.
Napoleone, avendo intuito l'ostilità di Martino e il suo desiderio di ucciderlo, incalza il ragazzo con i propri pensieri portandolo più volte ad arrabbiarsi. Ma Martino non possiede nessuna vera fede rivoluzionaria e nessuna reale capacità di compiere un gesto tanto forte come quello di uccidere una persona. Napoleone riuscirà così a scappare (come tutti sappiamo) dall'isola d'Elba, incurante di qualsiasi cosa e dimostrando ancora una volta la sua vera natura facendo fucilare il maestro di Martino che aveva tentato di assassinarlo.
Dice ancora Furio Scarpelli: "Tolstoj poneva una domanda-chiave quando affermava che il despota, il tiranno, il sire è una promanazione della moltitudine che vede nel tiranno se stessa". E lo stesso Napoleone dice nel film: "Guardate gli occhi di queste persone, Martino. vedono riflessa l'immagine della loro ansia di riscatto... In sostanza: è Napoléon che ha scelto le moltitudini, o son o le moltitudini che hanno scelto Napoléon?".
In questi due pensieri si racchiude un altro dei temi importanti del film, quello che riguarda l'idolatria da parte del popolo dell'uomo di potere. Gli abitanti dell'Elba accolgono infatti Napoleone come un re, pensando che egli avesse scelto la loro isola come dimora e non sapendo nulla del suo esilio. Il popolo quindi è ignorante, inconsapevole della storia, pronto ad applaudire chi possiede il potere per riscattare se stesso. L'importanza di questo pensiero è quanto mai attuale. Non a caso sia Virzì, che Auteil (che interpreta Napoleone) e Elio Germano (che interpreta Martino) hanno ammesso dei chiari riferimenti, nel film, tra Napoleone e Berlusconi. Naturalmente nessuna similitudine storica. Il discorso riguarda il lavoro che entrambi hanno compiuto sulla propria immagine e sul loro rapporto con il popolo. Entrambi sono due grandi attori, capaci di mascherare la propria mostruosità soprattutto attraverso le parole.
In sala durante la conferenza stampa sia Virzì che Germano ribadiscono il concetto, solo che quando Valerio Caprara chiede a Virzì come mai il film sia stato prodotto proprio da Berlusconi e la sua Medusa il regista livornese cambia abilmente discorso evitando di rispondere alla domanda. La Medusa e Berlusconi hanno fatto dei rapidi calcoli - questo film ci farà guadagnare dei soldi? Molto probabilmente sì (visto che è un gran bel film) quindi produciamolo.
Ma se esuliamo da una lettura politica, anche perché sembra che in Italia i film debbano fuggire la politica come la peste, allora Io e Napoleone rimane indubbiamente un ottimo lavoro. La parte più bella è sicuramente tutta quella giocata sui caratteri di Martino e Napoleone. Anche gli altri attori sono bravi, ovvero Mastrandea, Ceccherini e Impacciatore. Anche se le scene corali con loro tre a volte sembrano troppo volutamente impostate a scapito della sincerità delle recitazione. La Bellucci è ridicola, a parte le solite tette in bella mostra.
Una commedia che cerca ancora di dirci qualcosa, di metterci all'erta e di farci riflettere. Ma a cosa serve se poi rimane tutto a un livello letterario? Così come Martino noi le rivoluzioni ce le continuiamo a sognare, perché la volontà di fare veramente qualcosa sono in pochi ad avercela. Anzi: non ce l'ha ormai più nessuno.
cast:
Daniel Auteuil, Francesca Inaudi, Elio Germano, Valerio Mastandrea, Sabrina Impacciatore, Massimo Ceccherini, Monica Bellucci
regia:
Paolo Virzì
titolo originale:
N (Io e Napoleone)
distribuzione:
Medusa
durata:
110'
produzione:
Roberto Alchimede, Marco Chimenz, Fabio Conversi
sceneggiatura:
Furio Scarpelli, Giacomo Scarpelli, Francesco Bruni, Paolo Virzì
fotografia:
Alessandro Pesci