…making the familiar strange, and the strange familiar…
T.S. Eliot
Terzo capitolo di una trilogia sull'infanzia e sul paese natio, tirato fuori dal cassetto dopo anni come un vecchio diario impolverato, "Nails in My Brain" ha permesso a Baydarov ("Il mio miglior film", dice lui) di vedersi finalmente riconosciuti al 32° Trieste Film Festival l’ispirazione e il talento che marcano la sua poetica. Del resto con 7 lungometraggi, di cui 5 documentari, si può già parlare di una poetica – anche se difficile a classificarsi. Lo stesso "Nails in My Brain", catalogato fra i documentari, è in realtà uno zibaldone di luoghi e pensieri organizzato in 7+1 capitoli, in cui immagini di solitudine e decadenza vengono agglutinate dal mastice di un soliloquio che abbraccia arte, morte, metafisica e religione, e intorno al quale danzano, lievi e ossessive come fasci di polvere, le note della Gnossienne No.1 di Erik Satie.
Alla lettrice e al lettore più scaltri non sarà sfuggito che questo primo paragrafo è farcito di numeri, elenchi, somme, ordinali. Colpa di Baydarov, due volte campione nazionale di matematica, abituato a mantenersi in Bosnia come scacchista d’azzardo (sì, esistono!). Perciò non sorprende che "Nails in My Brain" si sviluppi secondo la forma di un teorema spinoziano, una sorta di venustas more geometrico demonstrata, distinguendosi insomma dal tempo vago e indefinito de "Lo Specchio" ("Zerkalo", A. Tarkovskij, 1975). L’influenza di Tarkovskij è esplicita sin dalle prime frasi del monologo, in cui viene esposta la prima equazione dell’opera, bellezza = sofferenza: "Ho osservato stupefatto il modo in cui la sofferenza scolpisce il tempo nei volti, rendendoli belli".
Quando si tratta di scolpire il tempo, c’è stile e stile: il tempo di "Zerkalo" affiora a tratti, parzialmente, sbozzato a fatica dal magma della memoria, come i Prigioni di Michelangelo. Nel tempo di Baydarov, forse lo stesso che abita alcune austere basiliche dell’Italia longobarda, prevale invece un’architettura di piani fissi, con anguste penombre trafitte dalle cavità squadrate di porte divelte e finestre infrante. Ante di legno si aprono cigolando, nelle stanze vuote risuonano campane distanti, rintocchi di orologio, i versi del colombo e dell’assiolo, ci sono chiodi confitti nelle travi marcite, nei muri screpolati, presi a martellate dal regista che siede o vaga come uno spettro sotto il suono della sua voce disincarnata.
Vero protagonista del film è proprio la parola, a cui Baydarov lascia il compito di esprimere la sua idea di "cinema come linguaggio di una condizione esistenziale", flusso di coscienza di sapore (o sapere?) gnostico, cui fa da contrappunto proprio una Gnossienne, che rimanda al greco gnosis, "conoscenza intuitiva del divino", ma anche a Cnosso e al suo labirinto. Il luogo intimo di queste riflessioni è infatti un dedalo di barriere e aperture, muri in cui si piantano chiodi e si bruciano le pagine di Dante, Broch e Lermontov, tre autori accomunati dall’esilio. Non manca una sfumatura di di narcisismo in questo compiaciuto ruolo di terzo escluso, venato di contraddizioni latenti – amore per la vita e misantropia, sensibilità artistica e indifferenza emotiva, ambizione e cinismo, umiltà e arroganza, ricerca e rifiuto del divino. Ma è proprio nella semplice esibizione di queste nude contraddizioni che "Nails in My Brain" dimostra, malgrado la struttura rigorosa e il tono declamatorio, un’ispirazione genuina.
Forse proprio la fascinazione per il carattere arbitrario e per certi versi assurdo di tutto ciò che è semplice spiega il quinto capitolo, "5=5?", storia di un giovane Baydarov che sveglia il padre con un gioioso eureka dopo aver risolto un’equazione a 5 variabili e aver dimostrato, una volta per tutte, che 5 è uguale a 5. Dopotutto la buona poesia, come il buon pensare, non consiste che nel "fare del familiare un estraneo, e dell’estraneo un familiare".
cast:
Hilal Baydarov
regia:
Hilal Baydarov
titolo originale:
Nails in My Brain
durata:
80'
produzione:
Ucqar Film
sceneggiatura:
Hilal Baydarov
fotografia:
Hilal Baydarov
montaggio:
Hilal Baydarov
musiche:
Erik Satie