Un insegnante e i suoi alunni: Herr Bachmann, ormai prossimo alla pensione, un po’ improbabile con la t-shirt degli AC/DC e il berretto in stile docker; la sua classe di ragazzi e ragazze, tra i dodici e quattordici anni, dove si mescolano nove diverse nazionalità. Un intero anno, l’ultimo, deciderà il loro destino scolastico, con la scelta delle scuole superiori: l’agognato Gymnasium, oppure un istituto meno quotato. Un luogo, la cittadina di Stadtallendorf, in Assia, nel cuore della Germania, dal passato peculiare: nel 1938, il regime nazista vi costruì la più grande fabbrica di munizioni d’Europa, deportando migliaia di lavoratori dai territori occupati, alcuni, come gli slavi, ancora bambini, ridotti in condizioni di schiavitù e schedati come criminali. Nel dopoguerra, invece, l’italiana Ferrero aprì proprio qui il primo centro produttivo al di fuori dei confini nazionali, attraendo molti Gastarbeiter, lavoratori provenienti soprattutto dalla Turchia e dal sud Europa. Eventi che trasformeranno il tessuto sociale della cittadina, creando un vero melting pot, di cui la classe di Bachmann è la riduzione in scala e in età.
Acclamato alla Berlinale del 2021, dove ha ottenuto l’Orso d’argento e il premio del pubblico nell’appendice estiva del festival, il documentario "Mr Bachmann e la sua classe", realizzato dalla regista bavarese Maria Speth, è un lungo e sentito viaggio filmico dentro una nuova società che, a partire dalla scuola, si sta formando in Germania e dunque in Europa. Si può percepire, da un lato, la convivenza immediata dei ragazzi, i quali, con un differente livello di conoscenza della lingua tedesca, si approcciano tra loro in maniera immediata, aiutati dall’empatia di Bachmann e degli altri insegnanti; dall’altro, la scissione tra famiglia d’origine e il concetto di Heimat, la difficoltà di sentirsi pienamente a casa. E poi, alcune discussioni su tematiche universali, la tolleranza, l’inclusione; le attività sportive e quelle artistiche, il primo approccio alla manualità lavorativa.
Chi è, invece, Dieter Bachmann, questo insegnante così particolare? Un uomo che, forse, non considera l’insegnamento una vocazione innata, ma qualcosa che è arrivato nella sua vita, tra caso e necessità, diventando, come lui stesso racconta con ironia, "la mia relazione più longeva". Il suo approccio sembra poco ortodosso ma non si riduce all’eccentricità di mostrarsi più giovani della propria età, e non costituisce neanche un ammiccamento ai ragazzi per far colpo su di loro. La sua è una naturale predisposizione all’ascolto, al sentire, inteso nella forma più intima, umana. E dunque, l’uomo viene sempre prima dell’insegnante, così come il focus è sulle ragazze e sui ragazzi, molto più di semplici alunni. A Bachmann interesse distribuire sorrisi e storie, tra un accordo di chitarra e una sessione di giocoleria, molto più che mettere voti, seppur dovrà farlo durante l’anno, indirizzando così le scelte scolastiche di quelli che non saranno più i suoi alunni. Eppure, l’insegnante ci tiene a sottolineare che quei giudizi numerici non rappresentano appieno i suoi ragazzi, ma sono solo istantanee. Ciò che è importante, per Bachmann, è il percorso intrapreso, la loro strada. Per questo, scandaglia anche i loro rapporti famigliari, senza mai intromettersi, ma come naturale prosecuzione delle giornate trascorse insieme a lezione. Perché alla fine, invece che da dove provengono, sarà sempre più importante dove questi ragazzi vogliono andare.
Finora pressoché invisibile in Italia, la filmografia di Maria Speth annovera opere di indubbia qualità, fin dal suo esordio, "In den Tag hinein" (t.l. "Alla giornata") del 2001. Annoverata tra i rappresentati della Berliner Schule, il variegato gruppo di registi che hanno rinnovato il cinema autoriale tedesco degli ultimi vent’anni, la Speth si era già misurata nel documentario con l’interessante "9 Leben" (t.l. "9 vite"), dove altrettanti protagonisti, ripresi in bianco e nero dentro uno studio, raccontavano la loro vita di strada, lasciando che la viva voce e i loro corpi si prendessero tutta la scena.
Qui, invece, Maria Speth è entrata in una vera classe per un intero anno scolastico, raccogliendo così centinaia di ore di materiale. Una scelta che crea un riuscito connubio con una "poetica dell’ascolto" privilegiando, nelle inquadrature, le espressioni e i volti di chi ascolta a scapito di chi parla. Il risultato più notevole è l’intromissione discreta della cinepresa, un’osservatrice apparentemente neutrale ma non per questo distante, anzi, saldissima, che assicura un punto di equilibro alla visione. La rinuncia ai primi piani, in favore di inquadrature in mezzo busto e piani medi, coi banchi e la cattedra a tagliare le figure di ragazzi e insegnanti, permettono allo spettatore di sentirsi, infatti, partecipe alle "lezioni" di Bachmann e degli altri professori. I movimenti di macchina sono ridotti al minimo, ma ciò non preclude la compartecipazione alle loro discussioni, anzi, crea un effetto prospettico dal quale orientarsi. È un meccanismo che si ripropone anche a livello narrativo, poiché con intelligenza Maria Speth rinuncia a qualsiasi traccia di plot o di creazione del conflitto. Non per questo il documentario non risulta emozionante, tutt’altro: propria la dimensione naturale del racconto lo eleva dentro un'attenzione costante, espressiva, mai banale.
cast:
Önder Cavdar, Aynur Bal, Dieter Bachmann
regia:
Maria Speth
titolo originale:
Herr Bachmann und seine Klasse
distribuzione:
Wanted
durata:
217'
produzione:
Maria Speth
sceneggiatura:
Maria Speth, Reinhold Vorschneider
fotografia:
Reinhold Vorschneider
montaggio:
Maria Speth
musiche:
Niklas Kammertöns