Pur frequentando la commedia italiana con connotazione fortemente regionali Giovanni Veronesi, soprattutto in veste di regista non ha mai disdegnato la possibilità di ampliare la propria sfera d’interesse con progetti slegati dalla componente territoriale, scomparsa dal suo cinema allorché si è trattato di passare dietro la mdp dopo anni trascorsi a scrivere per Nuti e Pieraccioni. Una transizione annunciata non solo dall’infrazione del contesto autoctono, rotto dalla partecipazione ai suoi progetti di attori stranieri di fama internazionale (Penelope Cruz, Harvey Keitel e addirittura David Bowie), segno tangibile di un interesse disposto a mettersi in gioco al di fuori della propria “zona di conforto”, ma anche dall’innesto - perché di questo si tratta, rimanendo Veronesi fedele al motto gattopardesco “cambiare tutto per non cambiare niente” - di icone e mitologie transnazionali come possono esserlo la Madonna e Giuseppe di “Per amore, solo per amore” (1993) e ancora i cowboy di “Il mio West” (1998). Tutto questo per sottolineare come “Moschettieri del re - Penultima missione” rappresentava per il regista un progetto tutt’altro che peregrino, essendo i personaggi creati da Alexandre Dumas - alla pari dei sopra citati - rappresentativi di un genere, quello cappa e spada, altrove rivisitato con produzioni ricche di soldi e di star, e di un immaginario, legato all’universalità della fonte letteraria, stratificatosi nel tempo attraverso la diffusione dei relativi romanzi. Sulla scia di quanto già fatto dai suoi colleghi, Veronesi da par suo non si limita a riprenderne le gesta ma in qualche modo ne reinventa personalità e paesaggio in un altalena continua di variazioni sul tema che pur mantenendo intatta le fondamenta del modello originale presentano allo spettatore una spettacolo in parte inedito. Non a caso il divertimento e la sorpresa della rilettura di Veronesi consistono proprio nello scoprire di volta in volta il livello di commistione tra vecchio e nuovo; tra quello a cui eravamo stati abituati fino a d’ora e ciò che invece ci viene proposto oggi. Va da sé che la curiosità maggiore era quella di capire in che modo il regista avrebbe deciso di occuparsi dei famosi moschettieri, nonostante la scelta degli interpreti (Pierfrancesco Favino/D’Artagnan, Rocco Papaleo/Athos, Valerio Mastandrea/Porthos, Sergio Rubini/ Aramis) ne facesse presagire le intenzioni.
Detto che il mistero è svelato nella lunga introduzione, organizzata in maniera tale che a ognuno di loro sia riservato il tempo necessario per fare il punto sulle rispettive sventure e sul rimpianto degli anni di onorato servizio, nonché sull’inevitabile riluttanza a rientrare in scena, anche in questa occasione utile a rendere ancora più eccezionale la successiva reentrè (suggellata dalla carrellata alla Sorrentino in cui sulle note di Prisencolinensinainciusol i moschettieri si presentano al cospetto della regina), il resto del film procede con la stessa libertà con cui Veronesi decide di lasciare intatte le peculiarità artistiche dei suoi attori, i quali - eccezion fatta per Favino, alle prese con un improbabile italiano francesizzato che ne ridicolizza l’abituale charme-, sovrappongono se stessi ai rispettivi personaggi, caratterizzandoli con la mimica e i tormentoni più ricorrenti delle loro bagaglio artistico, arrivando a mantenere il proprio accento d’origine come succede al romanissimo Porthos di Mastandrea.
Così, se ne “Il primo cavaliere” (1995) l’Ancillotto di Richard Gere oltre all’armatura si permetteva di sfoggiare un grazioso maglioncino di cachemire, allo stesso modo nel film di Veronesi i protagonisti per proteggersi dal sole indossano occhialini a specchio all’ultima moda (donatigli insieme ad altri gadget da un Mr. Q ante litteram in quella che appare una citazione da 007), Richelieu diventa Mazzarino (il cattivi di turno impersonato da Alessandro Haber) mentre la toponomastica si diverte a scherzare sui nomi delle località dove i nostri si recano per affrontare gli accoliti del famigerato Ministro. Veronesi punta all’evasione e lo fa senza a tentazione di fare del passato storico in cui è ambientata la vicenda il riflesso del tempo presente, a meno che non si voglia considerare tali i cenni alla persecuzione subite dagli Ugonotti, costretti a lasciare la Francia per sfuggire alle rappresaglie della maggioranza Cattolica, oppure l’esistenza dissoluta del giovane Luigi XIV e la predilezione del giovane re per le prostitute, spunti troppo esili per costituire un riferimento alle vicende del nostro tempo, ove per esse si intendono alcuni dei motivi da cui scaturisce il processo migratorio in atto nel territorio europeo oppure l’incontinenza pseudo sessuale di certo ceto dirigenziale. La simpatia dei personaggi, guasconi nella maniera tutta italica con cui da sempre Veronesi tratteggia l’umanità dei suoi film sommata alla naturale predisposizione degli attori a flirtare con la mdp non riescono però a compensare uno spettacolo che stenta a decollare. Girato con mezzi e stile di ripresa da cinema in costume e, come tale, ricco di panoramiche (da “Che ne sarà di noi” in avanti uno dei must di Genovesi) e campi lunghi volti a esaltare l’estetica dell’elemento naturale e la ricostruzione d’epoca “Moschettieri del re” risulta frenato dalla ripetizione dello schema narrativo, organizzato su singole sequenze, tante quante sono le varie tappe della missione dei protagonisti, e dalla mancanza di affinità drammaturgia tra lo spirito d’avventura connaturato al “mestiere” dei moschettieri - esplicato dall’abilità schermistica utilizzata nei numerosi “assalti” all’arma bianca - e l’anima picaresca di una commedia che nel prendersi gioco della drammaticità del contesto non riesce ad andare oltre la gag. Dispiace poi la funzione di contorno assegnato ai ruoli femminili e per una Solarino la cui bellezza androgina non riesce mai a trovare un Luc Besson italiano capace di farne una nuova Nikita; dispiace pur sapendo prima di entrare in sala che il cinema d’avventura è una giocattolo commissionato per uomini mai cresciuti.
cast:
Matilde Gioli, Margherita Buy, Pierfrancesco Favino, Sergio Rubini, Rocco Papaleo, Valerio Mastandrea
regia:
Giovanni Veronesi
distribuzione:
Vision Distribuition
durata:
109'
produzione:
Indiana Production, Vision Distribuition
sceneggiatura:
Giovanni Veronesi, Nicola Baldoni
fotografia:
Giovanni Canevari
scenografie:
Marco Martucci
montaggio:
Consuelo Catucci
costumi:
Monica Gaetani, Valentina Monticelli
musiche:
Luca Medici