Regista, attore, produttore ma soprattutto scrittore Giddens Ko è divenuto nell'ultimo decennio una delle figure più influenti e stimate della cultura popolare dei territori sinofoni, grazie anche alla prolificità letteraria e all'impegno per la causa dell'autonomia hongkonghese che l'hanno reso (molto) moderatamente noto anche in Occidente. Tali occupazioni probabilmente hanno giustificato la lontananza dalla macchina da presa (ma non dalla scrittura di sceneggiature) fin dal coming of age sentimentale "You Are the Apple of My Eye" (2011), presentato anch'esso a suo tempo al
Far East Film Festival. Ma in un'edizione come quella presente che ha abbondato di melodrammi e teen drama il film di Ko si dimostra una sorprendente e cupa ibridazione fra il genere d'elezione e l'horror, pure piuttosto truculento, nonché una delle visioni più interessanti della rassegna.
Dopo il rapido prologo che non disdegna l'esibizione dei lati più degradati di Taiwan e fa corrispondere all'orrore della vita quotidiana dei senzatetto l'entrata in scena della coppia di sorelle-mostro, mettendo fin da subito in chiaro la direzione della pellicola, la parte iniziale del film mostra le vicissitudini del bullizzato Shu-Wei e dei suoi tormentatori, coi quali viene presto costretto dalla (apparentemente) ignava insegnante a collaborare, assumendo i toni di una commedia scanzonata infarcita di riferimenti alla cultura adolescenziale contemporanea. Ma a differenza del film precedente non si percepisce nessuna leggerezza in questa sezione comica: troppo frontali e prolungate le riprese sull'umiliato protagonista (dall'espressione perennemente corrucciata), troppo crudeli gli scherzi, sconfinanti spesso in minacce e torture psicologiche, troppo irritanti, ottusi o amorali (ma senza alcuna
naïveté) i personaggi. Solo così risulta chiara la compenetrazione perfettamente riuscita fra lo sviluppo orrorifico della trama e i frequenti momenti umoristici (con una sensazione di disgusto crescente) ivi comunque abbondanti.
Perché se dapprincipio le gag riguardanti le angherie effettuate sulla più giovane dei mostri, catturata quasi casualmente dal protagonista e dalla banda di tre teppisti (più la fidanzata del leader di questi) con cui giocoforza lega, possono risultare sadicamente divertenti anche per il divertito fattore
gore, col proseguire della narrazione contribuiscono a far sfiorire ogni illusione di leggerezza possibile e il sangue inizia a scorrere (letteralmente) copioso con l'inizio della caccia degli studenti da parte del mostro più anziano (cui spetta un
bodycount record). Vi è una mesta ironia che sancisce la coesistenza fra horror e comicità e che rende le risate sempre meno presenti in sala, culminando nel sanguinoso e totalmente disastroso prefinale, in cui le ripetute gag dei protagonisti servono solo a esplicitare ulteriormente la continua disumanizzazione di essi, avvicinandoli (ma ciò era intuibile fin dall'inizio) alle misteriose creature antropofaghe (di cui non manca una stereotipica ricerca delle origini, ovviamente trattata ironicamente e presto abbandonata nella sua inutilità).
Tuttavia non si pensi che la sgradevolezza con cui sono descritti i personaggi principali li renda macchiette, in quanto nessuno di loro viene privato di contestualizzazione e possibilità di sviluppo in diversi ambienti, rivelando così ognuno una qualche forma di profondità e rendendone così ancora più drammatiche le malvagità e i tormenti. Questo elemento sottolinea la vicinanza fra "Mon Mon Mon Monsters" e l'esordio di Ko, assieme allo stile sfacciatamente pop della pellicola, zeppa di colori accesi, pop-rock locale, riprese anomale (si noti come abbondino le soggettive più disparate) e montaggi serrati, spesso utilizzati per avvicinare ulteriormente i protagonisti umani e inumani (memorabile quello alternato tra la carneficina di studenti che avviene in un autobus e la preparazione di un centrifugato). E se è proprio lo stile adottato dal regista a determinare le maggiori debolezze e discutibilità della pellicola, fra gag fin troppo reiterate e sequenze strappalacrime con musiche sinfoniche, il modo in cui viene utilizzato in concomitanza con l'onnipresente
humour cinico ne conferma la visceralità e permette così di cogliere il carattere personale e sentito. Evidente nel tragico percorso di tutti i protagonisti e nella crudeltà e radicalità delle loro scelte, le cui conseguenze vengono pagate nel cupo finale che certifica che la mostruosità è sita in primo luogo nella natura umana stessa.