Quando un regista che ha già dimostrato un certo talento accetta di cimentarsi con il rifacimento, aggiornato ai tempi, di una pellicola a suo modo rappresentativa di una cruciale transizione del costume sessuale, per altro su esplicita richiesta del figlio dell'autore, è lecito aspettarsi qualcosa di buono. Il regista in questione è Jean-François Richet che, tra le altre cose, ha diretto il dittico noir "
Nemico pubblico n. 1", appassionante compendio di vita e opere del più famoso criminale francese, e, in America, il superfluo remake di "Distretto 13", cult carpenteriano per nulla invecchiato. Il film da replicare questa volta è "Un moment d'égarement" di Claude Berri, variazione sul tema "Lolita" che nel 1977 portò sul grande schermo la scandalosa vacanza a Saint-Tropez di due vecchi amici e delle due relative figlie adolescenti. Caldeggia e produce l'operazione Thomas Langmann, figlio di Berri, e già finanziatore dei lavori di Quentin Dupieux, Michel Hazanavicius e dello stesso Richet.
Ben poco cambia rispetto all'originale, almeno sotto il profilo narrativo. La vicenda si svolge non più sulle spiagge della Costa Azzurra, ma in Corsica, nella cadente villa paterna dove Antoine, apprensivo papà di Lola in via di separazione dalla consorte, ospita l'amico Laurent, già divorziato nonché genitore più vivace e accondiscendente di Marie. Le due ragazze, in quanto esponenti emblematici della propria generazione, sono un vero incubo: smettono di lagnarsi solo con le cuffie nelle orecchie o davanti allo schermo del telefonino, in attesa di dirigersi con qualche smanioso coetaneo nei locali della movida e sballarsi fino al mattino. Gli adulti, anch'essi offerti come tipici rappresentanti dell'attuale categoria, non esibiscono un'immagine migliore. Entrambi diversamente inadeguati: Antoine si divide tra le liti telefoniche con la moglie (con la quale spera invano di riconciliarsi) e le improbabili strigliate e minacce, puntualmente disattese, rivolte alla pargola indisciplinata, mentre l'altro, piacione, sceglie il comodo ruolo dell'amico più maturo che "comprende" le esigenze delle fanciulle, assecondandone ogni desiderio. La disinvolta Lola se ne invaghisce e approfitta di un'occasione propizia per tendergli una trappola piccante; lui, complice una serata alcolica, si lascia tentare. Marie subito comprende la situazione, Antoine, tutto preso dalle proprie lamentose afflizioni e dalla caccia ai cinghiali che puntualmente gli devastano la casa, non matura il benché minimo sospetto.
A mettere in moto il film di Berri, già ripreso poco tempo dopo da Stanley Donen in una versione americana dal titolo "Blame It On Rio" senza memorabili risultati, era l'urgenza di fotografare i drastici cambiamenti impressi nel giro di pochi anni dalla rivoluzione sessuale in una società ancora sul crinale tra rigido tradizionalismo e audaci forme alternative di relazioni familiari e affettive. Per questa ragione, pur senza sfoggiare una particolare raffinatezza e giocando con una ragionevole dose di sensazionalismo, la pellicola coniugava con successo due ingredienti stridenti: i toni della commedia leggera e farsesca con le più serie conseguenze di una (allora moralmente inaccettabile) storia di passione. Evitando raffronti anacronistici, l'ammodernamento di Richet non è minimamente all'altezza. In primis, non funziona sul versante comico, limitandosi a ricalcare il ritmo meccanico e lo schema ormai usurato del nutrito filone di commedie francesi uscite senza soluzione di continuità negli ultimi anni. Le snervanti schermaglie tra genitori inetti e figlie sboccate e capricciose, le bravate delle due ninfette tra vestiti succinti e luci stroboscopiche, l'improbabile equilibrio tra l'avvenenza malandrina di Vincent Cassel e l'affabile ingenuità del "
quasi amico" François Cluzet più che divertire, infastidiscono per quanto risultano spente, prevedibili e ripetitive. Poi sul quadro socio-culturale il film nulla aggiunge a quanto raccontato in abbondanza non solo dal cinema e dalla letteratura, ma anche da tanta televisione negli ultimi decenni. Anzi, riduce sia i caratteri dei personaggi che il contesto nel quale si muovono a uno stanco canovaccio di stereotipi. La capacità di conformarsi al banale e al superficiale è talmente incondizionata da definire (involontariamente) il solo scarto rispetto al passato, l'unico dato culturalmente significativo che la dice lunga sullo "spirito dei tempi".
Infine, un paradosso: proprio agli occhi dello spettatore di oggi, questa rivisitazione ultra contemporanea risulta molto più accettabile e corretta della sua versione originale. Non si tratta solo di questioni anagrafiche - mentre lì la ragazzina aveva appena diciassette anni adesso si sottolinea che Louna è in procinto di diventare maggiorenne - o del fatto che la percezione di importanti differenze d'età nei rapporti di coppia è circostanza oramai normalizzata, e nemmeno dell'immediato pentimento mostrato da Laurent, subito rinsavito dopo il misfatto, a differenza di quanto accadeva nel film del 77 in cui la storia prendeva contorni più profondi e problematici. Si tratta soprattutto di un dato visivo: se ancora oggi si guarda con fatica il contatto tra l'acerba di Agnès Soral e la corpulenza matura e un po' cascante di Jean-Pierre Marielle, non si può dire che l'accostamento tra la prestanza fisica di Vincent Cassel e la (precoce) procacità dell'esordiente Lola Le Lann sia altrettanto dirompente. Per il resto, anche la regia, trascinata da un invadente, modaiolo e scontatissimo commento musicale, si abbandona a una insipida mediocrità televisiva.
27/03/2016