Oskar, un ragazzino newyorkese amante di scoperte e invenzioni, non riesce a rassegnarsi alla tragica morte del padre, avvenuta durante il drammatico attacco al World Trade Center, l'11 settembre del 2001. Un giorno trova il coraggio di rientrare nella camera da letto e nello stanzino del papà e trova in un vaso blu, nascosto tra i suoi abiti, una busta, un nome e una chiave. Credendo che si tratti dell'unico modo di conservare il suo ricordo, Oskar si mette alla ricerca della serratura e del contenuto custodito nello sconosciuto contenitore.
La ruffianeria di Stephen Daldry non è cosa nuova. Ha sempre dimostrato grande abilità e dedizione in quel "cinema-kleenex" tutto hollywoodiano. Poi, quando si tratta di trasporre sul grande schermo un romanzo (bello e complesso) come quello di Jonathan Safran Foer, in cui una tragedia collettiva viene raccontata attraverso il dramma del singolo, il gioco è fatto. Specialmente se quel "singolo" è un fragile fanciullo di nove anni che, a causa di quella tragedia, è rimasto orfano di padre.
Daldry aveva già fatto un'operazione simile in "The Reader", l'ha riproposta ancor più sfacciatamente in quest'ultima pellicola. "Molto forte, incredibilmente vicino" è tutto primi piani, lacrime, strepiti, arpeggi, dissolvenze. Un film in cui ogni singolo elemento è spudoratamente finalizzato a strappare anche solo un singulto di tristezza allo spettatore. Il regista non desidera raccontare la difficile interiorizzazione di un lutto attraverso gli occhi di un bambino, ma vuole sfruttare il più possibile sia il lutto che il bambino per amplificare - con ben poca onestà - l'effetto emotivo della narrazione. E questo non è bello, né nuovo, né elegante. Ma piace sempre (soprattutto al grande pubblico americano).
Questo film però, banalizzando tutta la spontaneità delle pagine di Foer, oltrepassa decisamente i limiti della tollerabilità e del buon gusto. La spettacolarizzazione del dolore talvolta è così palese, programmatica, prevedibile da infastidire e stancare anche lo spettatore più fragile. Perché chi è davvero sensibile non crede all'autenticità di questi ingannevoli mezzucci. Lo aveva capito Marziale che, qualche millennio fa, tra i suoi tanti epigrammi, scrisse: "È sincero il dolore di chi piange in segreto". Daldry non sembra aver afferrato il concetto (per assenza di volontà, certamente). È ovvio: quando una persona cara viene a mancare, coloro che gli sono sempre stati più vicini soffrono, e non poco; ma è deplorevole descrivere il dolore di una moglie o di un figlio solo attraverso la continua riproposizione delle manifestazioni più evidenti, plateali ed efficaci della loro disperazione.
Per questo motivo non possono diventare pregi effettivi neanche quegli elementi che in "Extremely Loud & Incredibly Close" sono indubbiamente validi come la bella fotografia di Chris Menges e tutto l'apparato tecnico o le ottime performance di Tom Hanks e Max von Sydow. Perché restano mezzi finalizzati solo e soltanto al raggiungimento di un brutto, vecchio scopo: le lacrime ad ogni costo. Lacrime mai così facili, mai così insincere.
cast:
Thomas Horn, Tom Hanks, Sandra Bullock, Max von Sydow, Zoe Caldwell, Dennis Hearn, Paul Klementowicz, John Goodman
regia:
Stephen Daldry
titolo originale:
Extremely Loud & Incredibly Close
distribuzione:
Warner Bros.
durata:
129'
produzione:
Scott Rudin
sceneggiatura:
Eric Roth
fotografia:
Chris Menges
scenografie:
K.K. Barrett
montaggio:
Claire Simpson
costumi:
Ann Roth
musiche:
Alexandre Desplat
Storia di Oskar, ragazzino newyorkese, che non riesce a rassegnarsi alla tragica morte del padre, avvenuta durante il drammatico attacco al World Trade Center, l’11 settembre del 2001. Un giorno trova il coraggio di rientrare nella camera da letto e nello stanzino che fu del papà e trova in un vaso blu, nascosto tra i suoi abiti, una busta, un nome e una chiave. Credendo che si tratti dell’unico modo di conservare il suo ricordo, Oskar si mette alla ricerca della serratura e del contenuto del misterioso oggetto custodito nel contenitore chiuso.