«Siamo stanchi di diventare giovani seri o contenti per forza, o criminali,
o nevrotici: vogliamo ridere, essere innocenti, aspettare qualcosa dalla
vita, chiedere, ignorare. Non vogliamo essere subito già così senza
sogni».
Pier Paolo Pasolini, "La meglio gioventù"
Il cinema italiano non è mai stato estraneo al racconto di storie o saghe familiari, tanto da creare un vero e proprio genere: da quelle di Luchino Visconti ("Rocco e i suoi fratelli") a quelle di Marco Bellocchio ("I pugni in tasca") e di Ettore Scola ("La famiglia"), giusto per citarne alcune.
"La meglio gioventù" di Marco Tullio Giordana entra a pieno diritto nel novero di questo elenco.
La saga familiare dei fratelli Carati, che si dipana dall'Italia del 1966 a quella del 2003, si colloca, sia per tematiche sia per messa in scena, vicino al cinema di Visconti ed è lo stesso Giordana a dichiararlo apertamente in alcune interviste e in una scena, quella di Matteo che torna in famiglia la notte di Capodanno, che diventa un calco di un'analoga in cui Simone (Renato Salvatori) torna a casa in "Rocco e i suoi fratelli".
"La meglio gioventù", titolo di una raccolta di poesie di Pier Paolo Pasolini e di una vecchia canzone degli alpini, è il racconto di una generazione attraverso il viaggio nel tempo di due fratelli, Matteo (Alessio Boni) e Nicola (Luigi Lo Cascio), che incomincia nell'intimità della stanza di Matteo dove i libri abbondano tra gli scaffali e acquistano, fin da subito, una visibilità non casuale. La presenza dei libri, quindi della cultura, è infatti una costante per tutta la storia (libri di studio, quelli recuperati a Firenze dopo l'Alluvione e quello della foto di Matteo), una tematica fondamentale che diventa elemento d'identità e ragione di vita dei protagonisti, e forse di un'intera generazione.
Le vite personali di Matteo e Nicola scorrono parallele, poi si incrociano per poi perdersi e riprendersi alla fine. Il loro percorso tocca tutti i luoghi cruciali e disperati della storia italiana: dalla Firenze dell'Alluvione alla Sicilia della lotta contro la mafia, dalla Torino operaia degli anni 70 alla Milano di Tangentopoli, passando dalla tensione degli Anni di Piombo alla lotta per la chiusura dei manicomi. Se Nicola incarna, pur mantenendo una propria individualità, un ideale borghese più uniformato, Matteo invece è il lato più intransigente e radicale che non riesce ad adattarsi al senso comune.
Il racconto non perde mai ritmo e non è quasi mai didascalico. Gli eventi della Storia fanno da sottofondo e non oltrepassano mai il racconto della vita privata dei personaggi che rimane sempre in primo piano. Giordana pone l'accento sulla storia privata dei suoi personaggi, ritraendoli spesso in primissimo piano come a coprire tutto quello che li circonda.
Elemento di unione di tutta la storia è un personaggio, Giorgia, interpretato con estrema naturalezza da Jasmine Trinca, ragazza e poi donna con una malattia da principio non compresa e poi curata, vittima delle ingiurie del manicomio e poi salvata dall'intervento di Matteo e Nicola. Lei si trasforma da semplice spettatrice ad attrice della macchina narrativa, soprattutto nella grande svolta emotiva dell'epifania di Matteo.
Il film di Giordana fu prodotto, originariamente, per la televisione dalla RAI in quattro puntate. Temendo ascolti non all'altezza, fu sospesa la messa in onda a dopo la presentazione al 56esimo Festival di Cannes, dove vinse il premio come miglior film della sezione "Un Certain Regard". Dopo il grande successo al festival francese, la pellicola uscì direttamente nelle sale nel giugno del 2003 e poi in televisione nel dicembre dello stesso anno. Un'ottima accoglienza fu riservata anche all'uscita negli USA, nel marzo 2005, col titolo fedele di "The Best of Youth".
Dopo aver raccontato episodi reali della storia della cronaca italiana, come l'omicidio di Pier Paolo Pasolini e quello di Peppino Impastato ne "I cento passi", Marco Tullio Giordana continua, coerente, con la narrazione dei fratelli Carati a trattare le contraddizioni del nostro Paese.
Il racconto, fluido e ipnotico, dura sei ore e non ha mai cadute d'attenzione. È pervaso da grande ispirazione ad ogni episodio: basta citare il modo in cui vengono presentati i singoli personaggi, ogni volta diverso e con un gusto quasi letterario. Giulia (Sonia Bergamasco) viene introdotta da un carrello laterale sul pianoforte che sta suonando (così da darci subito una sua connotazione), Giorgia invece da un movimento di macchina sinuoso che entra nella stanza in una sorta di soggettiva come a non voler violare la sua intima fragilità. Ed è proprio questa riservatezza della cinepresa, che cerca di sfiorare, senza mai oltrepassare, il pudore delle storie, che diventa punto di forza di una narrazione calda e avvolgente.
In sintesi è il gusto del narrare che rappresenta la vera matrice del film, aspetto non estraneo al cinema di Giordana che ritroveremo anche in "Romanzo di una strage", scandito in capitoli come quelli di un racconto letterario.
La pellicola diventa poi luogo per uno straordinario incontro di attori di diversa generazione (da Adriana Asti a Luigi Lo Cascio, da Fabrizio Gifuni a Maya Sansa) e riesce a lanciare un gruppo, allora trentenni, che diventerà protagonista del nuovo corso del cinema italiano. Il finale in Norvegia con il giovane Riccardo Scamarcio non è solo la chiusura circolare della storia, ma diventa un ideale passaggio di consegna con la generazione successiva, chiamata ad andare avanti senza mai perdere la memoria. Giordana lascia lo spettatore con uno sguardo di purezza e ottimismo, rivolto ai più giovani.
Alla meglio gioventù.
18/06/2015