Prodotto e diretto dal documentarista premio Oscar Alex Gibney per la Hbo ed edito in Italia da Feltrinelli per la collana Real Cinema (nei cinema è uscito per pochissimi giorni nel mese di marzo), "Mea Maxima Culpa" ripercorre lo scandalo della chiesa cattolica, accusata di pedofilia e di molteplici abusi sui minori nell'arco degli ultimi quarant'anni, in tutto il mondo. Che il film sia suddiviso in capitoli come vuole la struttura ordinaria di un libro, la dice lunga sulla mole di contenuti che Gibney è riuscito a estrapolare dalla sua ricerca, che coinvolge altresì le testimonianze dirette di molteplici vittime, di ex monaci redenti, di avvocati agguerriti e giornalisti alla ricerca della verità. Una verità tenuta nascosta per troppo tempo.
Il film incentra la sua disamina assumendo a corollario il caso del reverendo Lawrence Murphy, direttore dell'Istituto St. John, scuola per audiolesi del Milwaukee. Nel 1973, le continue denunce e una lettera rivolta al Vaticano a firma di una delle tante vittime, scatenò la prima odissea nell'opinione pubblica: un prete veniva clamorosamente etichettato su più fronti come pedofilo. Il linguaggio dei segni, unica forma di comunicazione a disposizione delle povere vittime, rappresentava così un urlo coraggioso in grado di smuovere il blocco del silenzio nei riguardi non solo della chiesa ma anche e soprattutto nella quotidianità della vita sociale. Ma la tempestiva catena protettiva instaurata nel sistema ecclesiastico riuscì a imbrigliare il movimento dei giovani ragazzi come un ragno che lentamente avvolge nella sua tela la sua preda. Anche la politica (i casi di prescrizione su padre Murphy e quello riguardante le cariche istituzionali McCann e Gardner) riceveva la notizia con superficiale scetticismo e con un timore reverenziale piuttosto ambiguo nei riguardi della chiesa. Solo Rembert Weakland, successore di Murphy, si dimostrò uno dei pochi combattenti al fine di scoprire le scottanti veridicità del sistema da una prospettiva interna. Ma non ottenne nulla soprattutto a causa della sua relazione omosessuale con un trentacinquenne che ha ricattato sia lui che la chiesa. Insomma, minuto dopo minuto, dai fotogrammi della pellicola sembra strisciare il dubbio che il circolo vizioso dedito alla propensione sessuale negli uomini di fede sia semplicemente più di un caso isolato.
Come dimostra la preziosa testimonianza di Richard Sipe, ex monaco benedettino e psicoterapeuta, il Vaticano nascondeva già prima delle presunte voci di pedofilia, i dati relativi al rapporto tra il celibato e il sacerdozio. E il motivo di cotanta semplicità nel reprimere tante scottanti informazioni risiedeva (e risiede tuttora per una larga maggioranza di fedeli) nel clericalismo, ossia nel considerare il sacerdote al di sopra della gente comune. Un'istituzione immune da giudizi e condanne. Fu questo il motivo per cui la chiesa divenne presto "un sistema in grado di scegliere, coltivare, proteggere, difendere e produrre molestatori". Un altro ex monaco benedettino, Patrick J. Wall, denuncia altresì le spese folli di questa assurda copertura. Chi insabbiava un caso di abuso sessuale nell'infanzia per conto della chiesa veniva ripagato con milioni di dollari. Ai limiti dell'incredibile le sequenze che Gibney dedica alla figura di padre Gerald Fitzgerald, fondatore dei "Servi del Paraclito" che aveva tra le sue missioni quella di riabilitare i preti pedofili isolandoli in un'isola dei Caraibi e in uno "yacht parrocchiale": la spesa totale dagli anni 50 si aggira sugli 80 milioni di dollari per duemila preti malati in tutto il mondo. L'informatore Thomas Doyle, avvocato canonico che ha da sempre condotto la sua crociata nei confronti della politica del silenzio imposta dal Vaticano, ritiene che la chiesa abbia pagato ad oggi oltre 2 miliardi di dollari per difendere lo status quo che l'ha sempre vista agli occhi dell'esterno come una società perfetta e irreprensibile.
Le ricerche di Gibney si affacciano poi sul caso Tony Walsh (il sacerdote che cantava e imitava Elvis), noto pedofilo che attecchì in una terra così consacrata alla fede cattolica come l'Irlanda. La rivolta del paese contro il Vaticano (che frenò le indagini del reverendo Connell) sfociò nel discorso del premier Kenny il 20 luglio del 2011: "Il rapporto Cloyne [il nome della cittadina irlandese, ndr] ha fatto emergere le anomalie, l'incoerenza, l'elitarismo che dominano la cultura del Vaticano oggi. Lo stupro e la tortura dei bambini sono stati minimizzati oppure strumentalizzati per sostenere il primato nell'istituzione, il suo potere e la sua reputazione. Questa posizione calcolata e subdola è diventata l'esatto opposto del radicalismo, dell'umiltà e della compassione sulle quali Santa romana Chiesa è stata fondata".
Ma non è tutto perché nella seconda parte, Gibney ha messo in luce quella che è la sfera maggiormente esposta alle responsabilità, ovvero il mondo dell'informazione che ruota attorno al papato. Etichettandolo con l'epiteto di "grande inquisitore", il documentarista newyorkese evidenzia la figura di Joseph Ratzinger, quando, prima di divenire Papa, era a capo della "Congregazione per la dottrina della fede" e per questo, la persona più informata dei fatti. Dal 2001 ogni caso di abuso commesso da un sacerdote è passato tra le sue mani. Compreso il controverso caso Maciel Degollado, tanto amato dalla chiesa e in particolar modo da Giovanni Paolo II, in quanto benefattore che portò alle casse della chiesa una smisurata quantità di denaro. Maciel però in realtà era un tossicodipendente, un violentatore e un pedofilo protetto fino alla sua morte dal Cardinale Sodano.
Alex Gibney è uno dei più grandi documentaristi contemporanei. Sul suo curriculum pesano come macigni le denunce rivolte alla politica americana sulle torture ai prigionieri afghani ("Taxi to The Dark Side") e sullo scandalo capitalistico delle multinazionali ("Enron - L'economia della truffa"). Sullo sfondo di un contesto così ignobile e censurabile, soprattutto in un paese come il nostro, dove la figura del Vaticano contribuisce a ispessire l'aura di omertà che gravita intorno agli stranianti fatti di cronaca (si veda il caso dimenticato dei muti di Verona), la pellicola del regista assurge a un'informazione cristallina per nulla manipolata da tesi complottiste. Quello che si respira per i cento minuti di visione è un'atmosfera malata, disgustosa e riprovevole. È la testimonianza di un cinema che non ha paura di esprimere le opinioni secondo cui il Papa debba essere citato in giudizio poiché responsabile di crimini contro l'umanità, che non ha timore di infangare la definizione di "stato" e demolire l'immunità diplomatica del Vaticano. È inoltre e soprattutto testimonianza di comprovata verità, come dimostra la politica del silenzio imposta dal Vaticano, la recente abdicazione di Papa Benedetto XVI, il rifiuto di rilasciare la benché minima intervista per il film di Gibney. I ragazzi dell'Istituto St. John lo sanno. Non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire.
La vittoria nel fallimento del caso Milwaukee risiede proprio nella consapevolezza di essersi svegliati da un torpore che durava ormai da troppo tempo. Ma non è solo una storia di coraggio e di denuncia. C'è anche un anelito di speranza, quella di portare avanti la riscoperta della vera Chiesa. A Papa Francesco l'arduo compito di portare avanti questo nuovo indottrinamento per combattere il Male che, vigliacco, si nasconde all'interno della schiera ecclesiastica.
cast:
Jamey Sheridan, Chris Cooper, Ethan Hawke, Alex Gibney
regia:
Alex Gibney
titolo originale:
Mea Maxima Culpa: Silence in the House of God
distribuzione:
Feltrinelli Real Cinema
durata:
102'
produzione:
Content, HBO Documentary Films
sceneggiatura:
Alex Gibney
fotografia:
Lisa Rinzler
montaggio:
Sloane Klevin
musiche:
Ivor Guest, Robert Logan