Sarebbe il caso di gettare via quell'inutile etichetta che tanto poco vuol dire: "Film da Sundance". Realizzi una pellicola a basso costo negli Stati Uniti e automaticamente ti dicono che il tuo è un film da Sundance, catalogato in una lista che nulla significa, perlopiù puntualmente circoscritta dalla critica con termini quasi sempre dispregiativi.
Prendiamo Noah Baumbach, da sempre attivo in un cinema a basso costo, eppure tanto distante da qualsiasi marchio di fabbrica modaiolo. Baumbach non somiglia a nessuno dei suoi giovani colleghi connazionali: semmai è lecito richiamare maestri come Rohmer o - perché no - a tratti l'Allen di "Hannah e le sue sorelle" e "Mariti e mogli".
Baumbach, aveva realizzato, dal '95 al '97 un paio di lungometraggi semi-invisibili, incerti e gradevoli. Dopo una lunga pausa, qualche corto e una sceneggiatura da segnalare ("Le avventure acquatiche di Steve Zissou", per l'amico Wes Anderson), se ne usci' con "Il calamaro e la balena", un film molto bello, che con le armi della commedia scavava a fondo nei meandri di una "normale famiglia americana".
"Margot At The Wedding" arriva in Italia con ritardo e, misteriosamente, direttamente per il mercato dvd (e che un film d'autore con una star dal calibro di Nicole Kidman non passi per i nostri grandi schermi è un brutto segno dei tempi) con il banale titolo "Il matrimonio di mia sorella".
L'opera cerca di proseguire il discorso sulla famiglia precedentemente esposto da Baumbach, ma con il piglio dell'autore maturo; e se con "Il calamaro e la balena" avevamo di fronte una commedia che si faceva dramma, stavolta accade il contrario.
La fanno da padrone l'ambiente campestre, gli alberi, le vaghe annotazioni, i banali gesti che sottilmente compongono l'affresco familiare. Si sguazza nel quotidiano, nel guardarsi nudi allo specchio, in una masturbazione della protagonista o in un pianto disperato.
L'affiatata squadra di attori è messa in scena con naturalezza e viaggia a ruota libera, tra improvvisazioni (reali?) che ricavano il massimo della spontaneità possibile. Scene di vita quotidiana appena accennate, sequenze che si aprono sfumando in una sospensione non sempre da riempire a ogni costo: finale compreso (aperto ma non troppo).
L'umanità non è fustigata e forse nemmeno criticata. Non si adoperano le armi di una pungente cattiveria, quanto piuttosto quelle di una dolente desolazione imbevuta in una routine quotidiana che rasenta la tristezza, qua e là - passando per il patetismo - addirittura sfociando nella pietà.
Se si escludono i bambini, la cui innocenza viene però spazzata via contemporaneamente all'alba dell'età adolescenziale (il personaggio di Maisy ne è un chiaro esempio), nessuno può dirsi esente da uno sconsolato vivere.
Medesima questione per i rapporti interpersonali tra i parenti, che finicono con il disintegrarsi gradualmente, confronto dopo confronto. Un appiglio, una fiammella di speranza finale: il rapporto Margot-Claude, madre/ figlio, ancora vivo e in fuga dal territorio che tante disfatte ha accumulato.
"Il matrimonio di mia sorella" è dunque un personale, calzante e riuscito omaggio all'arte rohmeriana. E pur con qualche incertezza, e non possedendo l'urgenza e l'autobiografismo del precedente "Il calamaro e la balena", la sincerità di Baumbach è ancora una volta assoluta.
cast:
Nicole Kidman, Jennifer Jason Leigh, Jack Black, Zane Pais, John Turturro, Ciarán Hinds, Flora Cross
regia:
Noah Baumbach
titolo originale:
Margot At The Wedding
distribuzione:
Universal Pictures
durata:
93'
sceneggiatura:
Noah Baumbach
fotografia:
Harris Savides