Una filmografia sterminata, e la capacità di gestire al meglio i mezzi di produzione. I fratelli Vanzina più che un nome sono il marchio di fabbrica di un cinema capace di attraversare un quarto di secolo rimanendo indenne all'usura del tempo e all'ostilità di chi puntualmente evidenzia l'opportunismo e la scaltrezza dei loro lavori. Da una parte il pregio di aver fidelizzato lo spettatore, proiettandolo sullo schermo con i vizi e le virtù che gli appartengono, dall'altra il contraltare di lungometraggi seriali e uguali a se stessi, nonostante l'eterogeneità delle forme utilizzate.
In questo caso "Matrimonio da favola" non fa eccezione, confermando una delle regole della casa, e cioè quella di assecondare gli umori del momento, sintonizzandosi con la voglia di dimenticare, almeno in sala, qualsiasi riferimento alle cronache di un quotidiano avaro di soddisfazioni. La bolla d'aria esistenziale è offerta manco a farlo apposta dal concentrato di buonismo italico (comprensivo quindi di simpatici difetti) rappresentato dal gruppo d'amici che dopo lunga lontananza si ritrova per celebrare il matrimonio di uno di loro. Il "grande freddo" più volte utilizzato lascia presto spazio alle beghe del momento, che, per ognuno di loro, ha a che fare con prospettive sentimentali agitate da malcelate insoddisfazioni. Gelosie, incomprensioni e la tendenza maschile al tradimento diventano presto il motore di una commedia tradizionale, con gli opposti schieramenti, formati da uomini e donne, a darsi battaglia senza esclusione di colpi. A fare la parte del leone sono i primi, rappresentati secondo una virilità declinata in tutte le sue manifestazioni - a un personaggio come Luca, implacabile
womanizer i Vanzina antepongono Alessandro, omosessuale e convivente con un compagno gelosissimo - ma comunque condizionata da una sessualità che fa capolino nelle occasioni più svariate: da quella classica, con marito fedifrago e amante gabbata da sublimi menzogne, subito doppiata dall'addio al celibato consumato in una dimensione boccaccesca e un poco equivoca, ad altre che strizzano l'occhio a un cinema sofisticato e misterioso, con
rendez-vous avvolti nella
suspense, come quello che a metà della storia rischia di far "saltare" il banco, mettendo a rischio il matrimonio
Con la volontà di staccare la spina a ogni tipo preoccupazione, i Vanzina organizzano uno spettacolo a metà strada tra la favola e la farsa, con il sogno d'amore tra Andrea (Ricky Memphis) e Barbara, proposto in una versione a parti invertite di "Pretty Woman" (lui è il novello cenerentolo di cui si innamora l'affascinante figlia di un banchiere svizzero), continuamente interrotto dalle contraddizioni delle coppie che li circondano, sempre pronte a far cagnara pur di far tornare i conti. Per riuscirci regista e sceneggiatore immergono i personaggi in un paesaggio fuori dal tempo - la vicenda si svolge a Zurigo ma le
locations sono prese in prestito dall'Austria, con breve escursione in una Venezia romantica e notturna - e con un avvicendamento di non-luoghi che vanno dall'hotel a 5 stelle dove i nostri sono alloggiati, a quelli della vacanza e del divertimento individuati negli spazi del castello in cui si svolgono i preparativi che precedono la festa.
Un quadro che farebbe pensare al format natalizio di cui i Vanzina sono stati i precursori ("Vacanze di Natale", 1983), e che, a dire il vero, la coralità della vicenda, con il ricorso a volti prelevati sull'onda della notorietà televisiva (Paola Minaccioni, Max Tortora), in parte ricorda. Ma questa volta a fare la differenza in positivo sono due aspetti: il primo è la messa a punto di una sceneggiatura che pur cavalcando il luogo comune si presenta meno frammentaria del solito, con sequenze realizzate in un'ottica che tiene conto dello sviluppo narrativo della storia, e per questo non finalizzate all'urgenza di sfoderare la battuta folgorante. E poi, da una messa in scena che, assecondando il talento degli interpreti, tra cui ricordiamo Emilio Solfrizzi e l'attivissimo Giorgio Pasotti, appare meno sciatta, e diremo quasi elegante, pur all'interno della cornice di sicurezza rappresentata da sequenze costruite nell'alveo di una riconoscibilità didascalica e televisiva, alla maniera di certi telefilm americani degli anni 80 ("Love Boat") in cui ogni cambio d'ambiente era preceduto da un
establishing shot comprensivo di
refrain musicale. Alla fine dei conti si riesce a ridere senza sentirsi in colpa e questo, per gli standard dei Vanzina, non è cosa da poco.
13/04/2014