La disperazione della famiglia Heurtin non ha confini. La loro figlia adolescente, Marie, è cieca e sorda e non è in grado di comunicare in alcun modo con il mondo. Siamo nel diciannovesimo secolo, cure e sostegni per generi così profondi di disabilità non se ne vedono all'orizzonte, specialmente se si tratta di persone che non navigano nell'oro. Il rimedio, se così si può dire, è allora la fede, l'aiuto dei religiosi che tentano, con pazienza e dedizione, di accudire chi è affetto da tali handicap fin dalla nascita. Ma per Marie si aprono le porte di un collegio di suore dove, a parte lo scetticismo della madre superiora, spunta dall'anonimato una figura esile ma potente come suor Marguerite, interpretata da Isabelle Carré, che tenterà di far esplodere la sensibilità e l'emotività repressa di Marie.
I modelli di Jean-Pierre Améris sono di quelli davvero scomodi: da una parte c'è "Il ragazzo selvaggio" di Francois Truffaut, dall'altra "Anna dei miracoli" di Arthur Penn (forse più il primo del secondo, con cui il confronto è perso in partenza, senza ombra di dubbio). Insomma, se lo scopo era quello di un'indagine antropologica sulla forza con cui l'insopprimibile bisogno di espressione alla fine vince su tutto, la pellicola del regista francese risulta completamente impalpabile. Inseguendo un cinema "pedagogico" di alto profilo, Améris si perde in inquadrature contemplative, primi piani prolungati, scene di forte dramma troppo programmaticamente enfatiche. Dov'è finito quel tocco soave e leggiadro che ci aveva fatto apprezzare la commedia natalizia "Emotivi anonimi" soltanto pochi anni fa?
Emotività e anonimato: queste due parole insieme avevano provocato quel tenero cocktail di cinema sentimentale non banale che ci aveva fatto applaudire quella pellicola brillante. Anche stavolta l'autore tenta di percorrere la stessa strada: cerca di far emergere le emozioni nascoste delle due protagoniste, dal cui incontro pare iniziare una nuova vita finalmente fuori dall'ombra nella quale entrambe, per diverse ragioni, si trovavano. Ma il registro drammatico si addice meno allo stile di Améris che rende i 95 minuti di un'estenuante pesantezza, con un incedere narrativo lento e incerto, che segna un accumulo di scene illustrative davvero stucchevoli. "Marie Heurtin - Dal buio alla luce" (didascalico persino nel sottotitolo pensato per la versione italiana) finisce per essere una sequenza di episodiche scene in cui suor Marguerite istruisce alla vita la giovane ragazza. I momenti in cui l'opera si eleva su più alti livelli sono davvero pochi e tutti, certamente, grazie alla innegabile affinità tra le due interpreti. Da una parte la Carré, volto legato da sempre al cinema di Améris, e dall'altra la giovane Ariane Rivoire, nata sorda, qui al suo primo ruolo cinematografico. Nella seconda parte soprattutto, allorché già la sceneggiatura aveva preventivato un incremento della partecipazione drammaturgica alla vicenda, i tic da fiction televisiva, che il pur bravo cineasta francese non riesce ad evitare, finiscono per far naufragare completamente il film.
cast:
Isabelle Carré, Ariana Rivoire, Brigitte Catillon, Noémie Churlet, Gilles Treton
regia:
Jean-Pierre Améris
titolo originale:
Marie Heurtin
distribuzione:
Mediterranea
durata:
95'
sceneggiatura:
Jean-Pierre Améris, Philippe Blasband
fotografia:
Virginie Saint-Martin
scenografie:
Franck Schwarz
montaggio:
Anne Souriau
costumi:
Danièle Colin-Linard
musiche:
Sonia Wieder-Atherton