Partiamo da un fatto certo e assodato: i film in costume sono belli. Sono belli perché ci sono questi abiti coloratissimi e pomposi, scarpe come non se ne fanno più, perché scorrono litri di rossetto, fiumi di profumi e tutto un cielo di cipria. Poi però, in un film, anche se in costume, ci sono la storia, la recitazione, la fotografia, la colonna sonora e la regia.
Partiamo dalla storia: ho accettato - un po' controvoglia e sicuramente mio malgrado - che "Marie Anoinette" non è la storia della più nota e controversa Regina di Francia, bensì la narrazione del periodo d'oro della protagonista.
Il risultato è decisamente superficiale: non viene sottolineato il carattere infantile e perditempo di quando è arrivata a Versailles e che tanta preoccupazione aveva dato a Luigi XIV, le pressioni politiche che aveva fatto su Luigi XVI per favorire i favoriti della Contessa di Polignac, le continue richieste che lasciava cadere perché tornasse a Versailles dal Petit Trianon, l'interminabile schiera di personaggi che puntualmente si rifiutava di ricevere, l'odio che buona parte dei nobili (oltre che a tutta la popolazione) provavano per lei e l'ostruzionismo subito durante la convocazione del Terzo Stato (di questo fatto storico non c'è alcuna menzione, così come per il Caso della Collana con tutti i protagonisti annessi).
Anche le sue amicizie non risultano ben descritte: la Contessa di Polignac (una meravigliosa Rose Byrne), da abile opportunista e spietata manipolatrice, diventa una comunissima compagna di gioco con la passione per le sostanze stupefacenti e il Conte Fersen un piccolo flirt quando, nella realtà storica, lui e Maria Antonietta facevano apertamente coppia fissa, tanto che, di due figli della Regina, si diceva che fossero "troppo biondi per essere francesi".
L'unico motivo per scusare tutto quando descritto sopra è rispettare il punto di vista di una persona immatura che non era caratterialmente adeguata al suo futuro. In questo caso la regia, purtroppo, non supporta l'ipotesi con scene in soggettiva totalmente assenti.
Tutto qui è mantenuto sullo stesso piano anonimo: se non ci sono momenti in cui l'interpretazione, la regia e la fotografia scivolano clamorosamente, è anche vero che non ci sono momenti in cui brillano particolarmente... Alla Argento (in una parte, quella della Contessa Du Barry, che la diverte molto e si vede) che si doppia da sola, poi, ci siamo abituati, ma non per questo la cosa risulta meno fastidiosa. Altro piccolo fastidio: le scritte in inglese. Perché non in francese? Non avrebbero allontanato lo spettatore dalla storia.
Sembra strano, a questo punto, ammettere che la colonna sonora non è affatto male: utile per supportare gli stati d'animo di Marie Antoinette e dimostrare allo spettatore che ballare il minuetto sulla musica di Siouxsie and the Banshees è possibile.
Probabilmente il risultato sarebbe migliore se non si conoscessero a memoria tutti i brani, ma questo è un problema del singolo spettatore.
Per terminare, la prima cosa che ho pensato quando, nei titoli di coda, viene citata la biografia di Antonia Fraser è stata cosa c'entrasse con il film, dal momento che sembra non abbiano niente in comune, ma se questo servirà a invogliare il pubblico a leggere il libro e sapere, veramente, non solo come sono andate le cose, ma chi era Maria Antonietta, allora ben venga.
Insomma, da vedere solo in qualità di film in costume.
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di Alessandro Baratti
Tra la soffusa morbidezza di Watteau e la maliziosa opulenza di Fragonard, Sofia Coppola sbozza elegantemente la vicenda della "sua" Maria Antonietta in perfetto equilibrio tra caratterizzazione psicologica e osservazione comportamentale.
Nella prima parte abbondano le notazioni intime e le sfumature emotive (dall'angelico candore del viaggio in carrozza alle calde lacrime di Versailles passando per la malignità dell'astioso pissipissi di corte), mentre nella seconda (dalla morte di Luigi XV in poi) l'analisi caratteriale lascia spazio alla descrizione delle situazioni, abbandonandosi maggiormente alla varietà e all'imprevedibilità degli eventi. Fiancheggiata dall'estro luministico di Lance Acord (già direttore della fotografia di "Lost in Translation"), la trentacinquenne cineasta newyorkese riserva alle due parti un trattamento filmico fortemente differenziato: se nella prima sta molto addosso a Maria Antonietta (una Kirsten Dunst sottile e guizzante) imprigionandola nelle opprimenti architetture della reggia, nella seconda lascia che le inquadrature respirino maggiormente, rompendo le rigide simmetrie visive di Versailles con squarci ariosamente trasgressivi e lasciando che un'allegra ventata di disordine scompagini la rigorosa etichetta di corte.
Chi scrive ha preferito quest'ultima, soprattutto in virtù di una maggiore inafferrabilità, ambiguità e levità stilistica. Osservazione eccentrica: le sequenze en plein air (soprattutto quella col Conte Fersen) mi hanno ricordato un film sublime e osceno al tempo stesso, "Elvira Madigan" (1967) di Bo Widerberg. Letteralmente imprescindibile.
7,5
cast:
Kirsten Dunst, Marianne Faithfull, Jason Schwartzman, Rip Torn, Asia Argento, Molly Shannon
regia:
Sofia Coppola
distribuzione:
Sony
durata:
120'
produzione:
Francis Ford Coppola, Sofia Coppola, Callum Greene
sceneggiatura:
Sofia Coppola