Al Portico di Firenze (esaurite entrambe le sale) si è celebrata l'anteprima di "Maraviglioso Boccaccio", parziale riadattamento del Decamerone che da quarant'anni i Taviani si propongono di realizzare. Paolo presenta il film insieme a una prolissa e confusa Jasmine Trinca (mai il cognome fu più consono) mentre in sala sono presenti altri attori esordienti o poco conosciuti, tra cui il bambino (ormai uomo fatto, nel film ha una parte piccola ma di una certa "sostanza") che fu protagonista di una delle scene più atroci de "La notte di San Lorenzo".
La primissima scena è di forte impatto: un appestato si lancia dal Campanile di Giotto e il corpo che cade, il campo che si allarga, rimandano a un'immagine terribile dell'11 settembre 2001, alla stessa impotente disperazione che indusse più di una persona ad anticiparsi la morte.
La peste dei nostri giorni. Così Paolo Taviani ha definito l'Isis, il terrorismo e le guerre di oggi.
La peste che colpì Firenze nel 1348 è descritta attraverso particolari - come i carri colmi di cadaveri, i fiori come prevenzione del contagio, i maiali agonizzanti sulla strada - che la rendono "presente" e quotidiana. Le strade di Firenze sono deserte, la gente è rintanata in casa e chi deve spostarsi lo fa in fretta e con un mazzo di fiori sotto al naso. Il silenzio è diffuso quanto la paura. Abituati come ormai siamo alla varietà di rumori intradiegetici che accompagnano l'azione, sorprende - quasi disorienta - ritrovarsi nel mezzo di un silenzio interrotto soltanto dalle ruote dei carri sul selciato, dal galoppo dei cavalli, o raramente dalla musica (extradiegetica) di Giuliano Taviani e Carmelo Travia. I dialoghi sono costruiti in modo tale che il silenzio abbia la sua parte, così come il paesaggio (il centro di Firenze prima e poi la campagna di Montepulciano e intorno a Grosseto).
Il film gioca molto sulle pause e molte scene si compongono di fotografie che ritraggono il paesaggio o il personaggio di turno alle prese coi suoi turbamenti. Perché di turbamenti si parla, di "afflitti" come riporta testuale il proemio del Decamerone, e più precisamente di quella categoria di afflitti che comprende i giovani - uomini e soprattutto donne - innamorati.
Dalla peste e da Firenze l'azione si sposta in una villa nella campagna circostante dove un gruppo di dieci giovani - sette ragazze e tre ragazze - decide di rifugiarsi. Ogni giorno ciascuno di loro dovrà raccontare agli altri una novella e tutti dovranno astenersi dal sesso. Queste sono le regole. Rifugiarsi nella villa è stata un'idea delle ragazze ed è la donna in effetti la vera protagonista, la forza trainante, vitale dell'intero racconto e - parafrasando Paolo Taviani - la promotrice della rinascita. Tra le cento novelle del Decamerone ne vengono scelte cinque, che rappresentino a campione i molteplici registri del Decamerone: dalla passione amorosa (Gentil de' Carisendi) alla tragedia (Ghismunda e il duca Tancredi), dall'episodio cortese (Federico Degli Alberighi) alla beffa (Calandrino, Bruno e Buffalmacco) alla spassosa blasfemia (la badessa Usimbalda). Nella migliore tradizione dei Taviani (mi viene in mente "Allonsafan" del 1974) il colore ha sempre un ruolo importante e determinante, così ogni novella è improntata su una diversa tonalità.
A raccontare le novelle dei giovani attori esordienti, a rappresentarle invece attori affermati e presentati con squilli di tromba - a ragion veduta - del tutto inopportuni. Le prime note dolenti vengono proprio dal cast, con interpretazioni davvero non all'altezza, come quelle di Jasmine Trinca (Giovanna) e Josafat Vagni (Federico degli Alberighi) di intensità espressiva nettamente inferiore al falcone; le altre interpretazioni nel migliore dei casi sono senza infamia e senza lode, vedi Scamarcio (il tenebroso e monocorde Gentil de' Carisendi), Vittoria Puccini (Catalina), Carolina Crescentini (Isabetta), Kasia Smutniak (Ghismunda). Anche Lello Arena (Tancredi) nelle insolite vesti del "cattivo" è molto meno convincente di quanto non lo è stato nel "Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno" di Monicelli. A tal proposito mancano fra le novelle scelte dai Taviani quelle (il Boccaccio ne scrisse più d'una) che trattano di avventure poco edificanti di frati (il "Fra Cipolla" per esempio interpretato da Alberto Sordi nel suddetto film di Monicelli). Al loro posto la novella che vede la madre badessa Usimbalda (Paola Cortellesi) gestire un'incresciosa crisi del monastero, senza avvedersi di indossare come copricapo un paio di mutandoni da uomo.
L'unico a salvarsi - e a risollevare l'umore della sala - è Kim Rossi Stuart che nella "novella gialla" interpreta Calandrino, un povero scemo convinto che una pietra nera (l'elitropia) possa renderlo invisibile. Il personaggio di Calandrino è forse anche troppo esagerato ma almeno capace di raggiungere il pubblico.
La responsabilità non è certo solamente degli attori. Il film è dotato di continue armoniose coreografie, i costumi sono essenziali e bellissimi, davvero lontani dalle pompose vesti di altri film storici (Paolo Taviani cita la serie tv de "I Borgia"), alcune immagini colpiscono per la loro potenza figurativa, ma tutto questo non è sufficiente. I Taviani hanno scelto di nuovo un adattamento teatrale che stavolta però, a differenza di "Cesare deve morire", è finito col diventare un prodotto televisivo. Ne è esempio l'episodio della madre badessa, in cui il pubblico ride non già per l'assurdo che sta accadendo ma per la reazione che si aspetta dalla Cortellesi. I dialoghi, il ritmo della narrazione e gli attori scelti, sia gli esordienti che gli affermati, vanno tutti verso lo sceneggiato televisivo. Anche il linguaggio, che con il "maraviglioso" del titolo sembrava voler mantenere una certa coerenza filologica, in realtà poi si sfalda in espressioni "moderne" o comunque inappropriate, fino agli accenti mal posti della Smutniak.
Dov'è la potenza dell'immaginazione? Dov'è l'arte da cui - cito Paolo Taviani - bisogna ripartire?
Il Decamerone è un meraviglioso pantano dove molti si sono impaludati e da cui forse solo Pasolini è riuscito a venir fuori - non senza critiche e polemiche - perché solo un genio può essere in grado di adattare l'opera di un altro genio.
La peste è passata e i giovani attori esordienti narratori di novelle decidono che è tempo di tornare a Firenze, la regola dell'astinenza ha raggiunto il grado massimo di sopportazione. Nel buio s'abbracciano in un ultimo balletto mentre la pioggia viene giù a "goccioloni", come dice una ragazza e come vengon giù anche a me, perché a Firenze coi goccioloni si può intendere che piove oppure che piangi lacrime parecchio grosse.
cast:
Fabrizio Falco, Paola Cortellesi, Carolina Crescentini, Flavio Parenti, Vittoria Puccini, Michele Riondino, Kim Rossi Stuart, Riccardo Scamarcio, Kasia Smutniak, Jasmine Trinca, Josafat Vagni, Lello Arena
regia:
Paolo e Vittorio Taviani
distribuzione:
Teodora Film
durata:
120'
produzione:
Stemal Entertainment, Cinemaundici, Barbary Film,
sceneggiatura:
Paolo e Vittorio Taviani
fotografia:
Simone Zampagni
scenografie:
Emita Frigato
montaggio:
Roberto Perpignani
costumi:
Lina Nerli Taviani
musiche:
Giuliano Taviani, Carmelo Travia
Nel 1348 Firenze è colpita dalla peste e un gruppo di giovani (sette ragazze e tre ragazzi) fuggono dalla città e si ritirano in una villa in campagna, dove trascorrono le giornate raccontandosi a turno delle novelle.