L'idea di poter vedere un bel film al cinema d'estate - quella stessa che indirizza i nostri intenti, quando, anno dopo anno, ci ripresentiamo in sala con la speranza ridotta a lumicino, ma non del tutto disillusi - è un po'come credere all'aldilà. Un atto di fede che non ha prove empiriche.
Talché, leggere in tabellone dei nomi altisonanti e iconici come Rob Reiner, Michael Douglas, Diane Keaton può sortire l'effetto di agevolare la Grande Mistificazione verso la programmazione balneare delle sale cinematografiche.
Qualche anticorpo, però, l'avevamo. Del resto, il regista ha dato il meglio di sé negli anni 80, inanellando una serie di film pregiati ("Stand By Me", "Harry ti presento Sally", "Misery non deve morire"), mentre negli ultimi anni ha dedicato il suo lavoro all'indagine delle conseguenze della vecchiaia. Se in "Non è mai troppo tardi" ad interessare erano gli ultimi desideri di due vite, quelle di Jack Nicholson e Morgan Freeman, disposte agli ultimi sussulti, in quest'ultimo film Reiner riflette sulla possibilità di slegare l'amore dai sopraggiunti limiti di età.
Invero, niente di nuovo.
Non è la mancanza di originalità del soggetto, però, a far storcere il naso, se dietro la macchina da presa c'è chi sul mestiere ha qualcosa da dire. In realtà, il film ha tutti i difetti possibili e immaginabili topici del genere sentimentale e che ci consentono, unendo i pezzi, di guardare a un mosaico abbrutito dall'assenza di ispirazione dell'autore. Già dalle prime sequenze capiamo cosa ci aspetta, Michael Douglas è un agente immobiliare burbero e senza cuore; Diane Keaton è tanto buona quanto fragile e lacrimosa. Da questo momento in poi l'ultima fatica di Rob Reiner sarà così prevedibile che penseremo di essere a Los Angeles, alla cerimonia degli Oscar.
Non basta la banalità degli opposti che si attraggono, della bambina malvoluta, e del vedovo duro e scafato che si redime sulla via dell'amore, perché il dipanarsi degli eventi prenderà una piega zuccherosa e ricattatoria indigeribile, finanche per i campioni di metabolismo veloce. La trasformazione del protagonista in un bonaccione romantico, che nel duetto con Leah è già evidenziata in giallo fluo, viene ricalcata in grassetto da una sequenza slegata, inutile e brutta come quella del parto in casa: a dimostrazione del fatto che la sottrazione degli eccessi, in particolare in fase di scrittura, è un'operazione fondamentale per la buona riuscita di un'opera. Risulta quasi consequenziale, a questo punto, che la conclusione della ri-educazione sentimentale del protagonista sia un happy ending, di quelli che riportano ogni tassello al posto giusto.
Di buono c'è Diane Keaton (che canta).
12/07/2014