L'artigiano Soderbergh, il manipolatore Soderbergh, il tuttofare Soderbergh. Le definizioni per il regista di Atlanta potrebbero proseguire a lungo, dato che parliamo di un autore che in meno di 35 anni ha passato più tempo sul set che a casa propria a preparare e ideare film. Ad eccezione di una pausa lunga quattro anni tra il 2013 e il 2017, per il resto Steven Soderbergh non è praticamente mai stato fermo, decidendo scientemente di consacrare la sua carriera a un catalogo assortito di opere minori di un filmografia priva di episodi maggiori. Una scelta consapevole e assolutamente originale, quella di puntare quasi esclusivamente su pellicole low budget, di facile realizzazione e di veloce post-produzione. Un modo singolare, però, di comporre un affresco dell'America contemporanea, come una tela da riempire con piccole e variegate impressioni visive, a volte guardando al mondo là fuori, a volte riflettendo sul mezzo di espressione artistica prescelto, il cinema. Una costante è la presenza del cineasta in varie fasi: la scrittura, la produzione, la fotografia, il montaggio; tutte occasioni per amplificare l'intervento del regista su quelle opere che abbiamo già avuto modo di definire.
Ai giorni nostri, forse stanco o semplicemente privo di nuovi spunti espressivi da fornire all'opera nel suo complesso, Soderbergh è regredito al ruolo di regista puro e semplice, come nel caso di "Magic Mike - The Last Dance", ultimo capitolo di una trilogia che ha tentato nell'arco di un decennio di raccontare alcune contraddizioni sociali e relazionali degli Stati Uniti. L'assenza dell'autore nelle altre fasi di realizzazione incide inevitabilmente sul risultato finale, a partire da un ragionamento generale di complessità del film: siamo di fronte a un lungometraggio il cui arco narrativo è talmente esile che necessità di una continua serie di espedienti di sceneggiatura per giungere faticosamente all'epilogo della vicenda. Perché, fondamentalmente, ci troviamo di fronte a un'opera che ha uno spunto iniziale pregevole e che richiama gli altri due capitoli della saga (una crisi economica costringe il protagonista a reinventarsi di nuovo) e che poi costruisce un corpo centrale in trasferta londinese nel tentativo di raccontare un doppio binario di eventi paralleli. Da una parte, infatti, c'è la vicenda teatrale e creativa, con Mike ingaggiato dalla svampita ma onesta Maxandra per rivoluzionare la programmazione di un vecchio teatro tradizionale con uno spettacolo di spogliarellisti, e dall'altra troviamo l'altalenante rapporto sentimentale tra i due, al confine tra amicizia salvifica e attrazione sessuale.
Nel mezzo, le ambizioni di Reid Carolin, l'inventore del personaggio di Magic Mike, nonché firmatario di tutte e tre le sceneggiature, che tenta di arricchire tutto ciò con uno sguardo alla contemporaneità, o sarebbe meglio dire all'attualità. Nella volontà di abbandonare una rappresentazione teatrale classica a favore di uno show di ballerini si nasconde un'intenzione di parlare di riscatto femminile, di donne che riprendono il controllo in nome di un indomito spirito di autodeterminazione. Questo anima il personaggio interpretato da Salma Hayek (reduce da una separazione disastrosa dal marito fedifrago), questo dovrebbe rappresentare il nuovo spettacolo da mettere in scena. A questo, inoltre, si intreccia un'aspirazione di Mike non troppo taciuta, quella di noblitare il genere, dandogli una parvenza di profondità narrativa, perché in fondo, dopo averle davvero tentate tutte nel corso di dieci anni, sempre lì, su quei palchi è tornato per guadagnarsi da vivere. Ecco che allora ciò che avviene fuori scena e ciò che viene ideato per lo show si sovrappongono in un'ideale identificazione, nel tentativo, in verità un po' fiacco, di rinverdire i fasti di un meta-racconto secondo cui l'arte, che sia il cinema, il teatro o la danza, supportano uomini e donne fornendo chiavi di lettura diverse e soluzioni per uscire dalle difficoltà del reale.
Il Burt Reynolds di "Boogie Nights" scostava l'occhio dalla macchina da presa e si faceva immortalare in un primo piano di stupore e di commozione allorché realizzava che, per la prima volta, un film porno stava diventando nella sua carriera qualcos'altro. Anche nello sguardo di Channing Tatum balena a un certo punto, durante la fase della preparazione, questa stessa sensazione. E anche qui il punto non è se il contatto emotivo con noi che guardiamo avviene, ma come esso si manifesta. Soderbergh gira "Magic Mike" come sa fare: con una brillantezza e padronanza della messa in scena che non lo ha praticamente mai abbandonato. La sua cinepresa è sempre all'altezza giusta, che guardi dal basso, che compia movimenti laterali o che si lanci in suggestive panoramiche. L'impressione è che tutto questo impegno rimanga confinato a un'abilità tecnica che resta soltanto un elemento di contorno. C'è una rinuncia all'ironia consueta, allo sguardo corrosivo, alla capacità, appunto, di divertirsi nella scelta di che cosa mostrare e che cosa no. In questo, allora, appare sorprendente come viene gestita l'ultima parte, gli ultimi 45 minuti dedicati, con una realizzazione pressoché in presa diretta, all'esibizione live tanto attesa. Un lungo e piuttosto freddo videoclip, in cui i difetti di scrittura vengono alla luce tutti insieme; dopo una premessa che lasciava intendere la ricerca di un racconto scenico rivoluzionario, diverso, mai visto, ciò che ci viene mostrato è quanto di più convenzionale e preconfenzionato possa esserci, una strada sicura che conduca al prevedibile lieto fine. Resta un parziale dubbio sul fatto che Soderbergh abbia voluto canzonare tutti e che quel parallelismo tra realtà e finzione, tra riscatto dei personaggi nello show realizzato e le esistenze dei protagonisti della vicenda, tutto questo sia solo l'ennesimo trucco, un'ulteriore sberleffo alle aspettative sbagliate riposte sull'opera. Sarebbe un bel colpo di scena, ma è difficile crederlo.
cast:
Channing Tatum, Salma Hayek, Ayub Khan Din, Jemelia George, Juliette Motamed
regia:
Steven Soderbergh
titolo originale:
Magic Mike's Last Dance
distribuzione:
Warner Bros.
durata:
112'
produzione:
Warner Bros. Pictures
sceneggiatura:
Reid Carolin
scenografie:
Pat Campbell
costumi:
Christopher Peterson