La popolarità di manga e anime in Estremo Oriente e non solo è tale che anche il mondo del cinema tenta il più possibile di sfruttare il materiale a disposizione. Sicuramente in Giappone in questo senso non si fanno pregare e spesso e volentieri ,oltre a lungometraggi di animazione, realizzano versioni "live action" delle serie e dei personaggi più amati. Nel corso degli ultimi anni abbiamo visto anche autori acclamati attingere sempre più spesso al mondo delle strisce disegnate con una reazione generalmente entusiasta del pubblico. Nelle ultime settimane in Italia è stato distribuito, anche se solo per pochi giorni, l'adattamento del "Lupin III" con attori in carne e ossa realizzato nel 2014 da Ryûhei Kitamura (che gli estimatori del cinema di genere ricordano soprattutto per "Versus" e "Prossima fermata: l'inferno" con un Bradley Cooper non ancora attore caro all'Academy), quarant'anni dopo una versione di cui si è persa la memoria e dieci dopo un tentativo andato a vuoto da parte del produttore Premio Oscar Gerald L. Molen. In patria il film è stato un successo e il regista ha annunciato l'intenzione di realizzarne un sequel. Ma una volta detto che queste iniziative sono spesso salutate con favore dal pubblico, come sono i risultati? In molti casi possiamo dire altalenanti e questa nuova dispendiosa versione del più simpatico personaggio creato da Monkey Punch nel 1967 purtroppo difficilmente sarà ricordato fra gli adattamenti più riusciti.
Il ladro astuto e inafferrabile, caro anche a Miyazaki, viene inserito in un tipico racconto delle origini che lo vuole già in gambissima, già ricercatissimo dall'Interpol e, ça va sans dire, innamorato senza grandi speranze della più fatale delle ladre. Interpretato da Shun Oguri questo Lupin si muove tra Giappone, Hong Kong e Thailandia per recuperare la collana della regina Cleopatra e soprattutto vendicare la morte del suo tutore, capo di una pattuglia di abili malfattori dal cuore nobile, freddato nella sua villa durante una riunione in grande stile, da un commando che sembra provenire direttamente dalla filmografia di Miike Takashi. Ovviamente dietro l'agguato c'è il tradimento da parte di un membro della banda, che guarda caso si scopre anche essere il fratello di Fujiko Mine, eterno oggetto del desiderio di Lupin, qui ben incarnata dall'avvenente Meisa Kuroki (già insieme a Oguri nei fortunati film della serie "Crows Zero", diretti proprio dal citato Miike) in un aggiornamento del personaggio che non poteva non tenere conto delle più recenti action girls. La sete di vendetta ma anche la voglia di recuperare il gioiello porta Lupin e la sua band (oltre a Fujiko ci sono naturalmente Gigen e Gaemon, interpretati rispettivamente da Tetsuji Tamayama e Go Ayano, anche se curiosamente la sceneggiatura concede loro poco spazio, relegandoli spesso sullo sfondo in favore di personaggi creati ex novo) a tentare di penetrare nell'inespugnabile (si fa per dire) fortezza del facoltoso Pramuk. Non poteva mancare l'ispettore Zenigata che stavolta ha le fattezze dell'attore di culto Asano Tadanobu (che prossimamente ritroveremo, e in un ruolo importante, anche nel cast del nuovo film di Scorsese, "Silence"), ma in effetti a parte qualche urlaccio al megafono e alcuni siparietti con l'attore thailandese Vithaya Pansringarm (noto anche in occidente per "Solo Dio perdona" di Winding Refn, dal cui set proviene anche l'affascinante Rhatha Phongam, che qui veste i panni dell'algida assistente di Pramuk) Kitamura non sembra avere bisogno di altro. Peccato perché forse puntare tutto sul personaggio del traditore Michael (l'attore televisivo taiwanese Jerry Yan), cui praticamente è affidata la parte drammatica del film, si sia rivelata una mossa vincente, un po' per la banalità della scrittura ma anche per lo scarso appeal dell'interprete. Anche se è pur vero che il pubblico non va a vedere questi prodotti per la loro vis drammatica, e di fatto il disegno dei personaggi mostra chiaramente come gli autori si sentano più a loro agio col registro brillante. Ad ogni modo la storia si trascina a fatica e nonostante il budget messo a disposizione sembri apparentemente considerevole il risultato appare piuttosto anonimo. Detto questo, Kitamura è un regista che sa girare le scene d'azione, così come quelle di combattimento e questo aiuta non poco. Va però detto che nel cinema asiatico queste sono caratteristiche abbastanza facili da riscontrare in un regista che lavora nell'ambito dell'intrattenimento sul grande schermo. Se vedessimo la sequenza dell'inseguimento in autostrada in un film italiano staremmo tutti a magnificare la maestria del regista, ma nelle produzioni Far East cose simili si possono trovare praticamente sempre, anche nei lavori girati con la mano sinistra. Perciò ci saremmo aspettati francamente qualcosa di più.
29/02/2016