Che io mi ricordi, ho sempre voluto fare il gangster. Per me fare il gangster è sempre stato meglio che fare il presidente degli Stati Uniti. (...) Per me significava essere qualcuno in un quartiere pieno di gente che non era nessuno. "Loro" non erano mica come tutti gli altri, "loro" facevano quello che volevano, e nessuno chiamava mai la polizia. I ragazzi arrivavano in Cadillac e me le lasciavano parcheggiare. Giorno per giorno imparavo come si campava a sbafo, un dollaro qua un dollaro là. Vivevo come in un sogno.
da "Quei bravi ragazzi" di Martin Scorsese
Difficile definire e analizzare compiutamente "Loro 1", perché inevitabile metà di un corpo unico che si completerà solo con la visione del secondo capitolo. Paolo Sorrentino da "
La grande bellezza" in poi è stato affascinato da durate considerevoli ed estenuanti, a partire dall'
extended version della suddetta pellicola pari a 172' o alla serie "
The Young Pope", che lo stesso autore ha definito un film lungo dieci ore. Il progetto narrativo, dalle dimensioni romanzesche, somiglia appunto a quello di una miniserie di cui potremmo aver visto il primo e il secondo episodio (di "
Loro 2" la durata non è nota). Vedendo "Loro 1" è chiaro come a Sorrentino interessi primariamente l'affresco, la constatazione fenomenologica e, solo in seconda istanza, giungere all'eziologia. Loro, prima di
Lui.
Vero protagonista della prima parte è Sergio Morra, una reincarnazione di Giampaolo Tarantini interpretata (benissimo) da Riccardo Scamarcio; invero, il film raramente offre nomi e cognomi dei personaggi reali, ma libere e fantasiose reinterpretazioni. Morra è un faccendiere che vorrebbe fare il salto di qualità, abbandonare quel "cesso di Taranto" trasferendosi a Roma. L'illuminazione giunge mentre, facendo sesso e pippando cocaina, scorge sul fondoschiena di una escort un tatuaggio: è il volto di Silvio Berlusconi, ma già trasformato nella maschera di Toni Servillo.
"Loro 1" potrebbe essere quello che "La grande bellezza" non riusciva a essere fino in fondo, almeno per chi scrive: la fotografia della decadenza italiana (e per sineddoche il tramonto dell'Occidente?), dalla prospettiva di chi ha scelto deliberatamente di farne parte; nel film premio Oscar e vero spartiacque della carriera del regista, il commento fuori campo e gli aforismi di Jep Gambardella rivelavano un eccesso di autocoscienza che lo poneva comunque al di sopra della fauna attraverso cui si muoveva. Scomparsa questa consapevolezza, in "Loro 1" resta l'ebbrezza, la rappresentazione realista (e quindi grottesca) non soltanto di una fenomenologia sociale ma anche di un immaginario collettivo. Ed è per questo che Sorrentino, descrivendo non l'apogeo dell'età berlusconiana ma il tardo impero, inizia dalla base del prodotto (e dall'indotto) di quest'epoca. Una prima ora che è un'allucinata e sfrenata festa con la musica a fare da catalizzatore per movimenti di macchina ingiustificati e jump-cut, realizzando non l'orgia del potere ma il potere dell'orgia. Morra si ricicla spericolato entrepreneur e agente di molte ragazze ma, in fin dei conti, va avanti a fare il pappone: il corpo femminile è la merce di scambio, la strategia per una scalata gerarchica.
Sorrentino e Luca Bigazzi, suo fedele collaboratore, sanno come costruire immagini potenti, come lavorare coi colori e le luci e non può non essere una precisa scelta estetica quella di girare una pellicola in cui i pieni e i vuoti, così come la palette cromatica, sono netti, quasi in assenza di profondità di campo: ogni elemento è vicino, basta allungare le mani e prenderlo. Un'immagine televisiva, da
reportage fotografico, che mette in scena quel progetto
cafonal su Vallettopoli al quale Matteo Garrone decise di rinunciare dopo "
Gomorra". L'operazione estetica di Sorrentino è paragonabile a due pellicole tra le più influenti degli
anni 10 dei 2000: ci riferiamo a "
Spring Breakers" di Harmony Korine e a "
The Wolf of Wall Street" di Martin Scorsese. Come Korine, Sorrentino decide di usare il linguaggio codificato da una data realtà per narrarla, riuscendo al contempo a porre una distanza critica, parodica in senso etimologico, proprio per l'insistenza mimetica dello stile, senza eccedere nel giudizio tranchant e moralista. La suddivisione tra "noi" e "loro" non esiste, perché tutti vorrebbero essere "loro". Il debito con Scorsese è antico e risale già a "L'uomo in più": riguarda non solo l'esuberanza formale, ma anche il registro volto all'analisi antropologica (che sta al centro di capolavori scorsesiani come "Quei bravi ragazzi"); la lezione del maestro di Little Italy è inoltre ravvisabile nel ritmo del montaggio, un saliscendi drogato da cocaina e MDMA. Per comprendere come Sorrentino riesca a massimizzare le intuizioni formali del proprio repertorio, basti pensare all'incidente del camion della spazzatura (causato da un topo, ennesimo stucchevole simbolismo zoomorfo) in cui dal grossolano ralenti sulla spazzatura che esplode per aria si passa a uno spiazzante raccordo per analogia su una pioggia di anfetamine. Un simbolismo
kitsch diventa, in un
match cut, sublime esuberanza cinematografica sposando l'Antonioni di "
Zabriskie Point" con lo
spring break korin-scorsesiano.
Morra, guidato da Kira (Kasia Smutniak nelle vesti dell'ape regina), affitta una villa in Sardegna di fronte a Villa Certosa, con l'intenzione di farsi notare grazie alle feste e al continuo via vai di belle ragazze seminude. Finché, fremente, non si chiederà "Dove cazzo sei, Silvio?". Un'invocazione diretta, scaturigine di un controcampo nel quale finalmente intravvediamo Berlusconi.
Silvio è travestito da odalisca per fare uno scherzo alla moglie, con la quale attraversa una crisi coniugale: ma Veronica a malapena alza lo sguardo verso il marito, non si scompone perché i vecchi trucchi sono oramai usurati. Sorrentino e Servillo affrontano il leader di Forza Italia ricostruendone la maschera comica: è il Silvio privato che è presente in "Loro 1", ma Berlusconi (come ha detto Sorrentino) rappresenta un nuovo tipo di potere, avvicinabile, per certi versi opposto a quello indagato e messo in scena dal regista napoletano ne "
Il divo" e in "The Young Pope", in cui i rituali e le liturgie allontanavano, cercando di preservare il mistero. Sorrentino dubita, però, che si possa conoscere realmente un uomo ed è per questo che il suo cinema indagando il potere prova a smascherarne il lato umano, le debolezze, le miserie, aderendovi qui più che altrove.
[1] Sorrentino realizza un distillato di commedia (all'italiana) e, in quanto tale, i suoi personaggi non possono essere tragici, ma antieroici; la rappresentazione realistica viene messa in crisi, forzata non tanto verso la farsa quanto verso il grottesco, in una continua "sfigurazione del reale".
[2] Come rilevato da Northrop Frye, "il tema del comico è l'integrazione della società" sotto forma di incorporazione di un personaggio centrale (Morra in questo caso) nella società stessa; per questo, di solito, "il movimento della commedia" va da un certo genere di società a un altro:
[3] risulta evidente come Sorrentino ricrei il movimento del
berlusconismo, raccontandone gli effetti trasformativi sulla società italiana. La maschera esibita del Berlusconi privato (si mostra, in una scena, il momento in cui viene truccato prima di incontrare qualcuno) è lo specchio del personaggio pubblico che tutti conoscono, poiché egli è stato un dei maggiori artefici dell'abbattimento di tale barriera, grazie alla retorica dell'uomo del fare che si è fatto da solo, dell'uomo del popolo e che del popolo ha i difetti: bastano un paio di battute (del vero Silvio) ad amplificare la sensazione di assistere a una perpetua impostura, a una bugia ambulante che non solo vuol essere creduta, ma vuole essere la prima a credere a ciò che dice. Sibillina, in tal senso, la lezione di sofismo impartita al nipote: ciò che conta non è la verità, ma come questa viene venduta.
In "Loro 1" Servillo lavora quindi su un corpo comico nelle movenze benché tenero negli intenti: riconquistare Veronica, a suon di barzellette, regali e serenate. Come detto, è un Berlusconi in crisi, sconfitto alle elezioni e che, nell'esilio dorato della Sardegna, spera di riottenere la fiducia della moglie, così come quella degli italiani: tornare a essere amato. Dall'altra parte si muove il nuovo corpo sociale, quello di Morra, che vuole essere incorporato per fare il suo ingresso nella società che conta davvero. E probabilmente "Loro 2" racconterà tale fatidico incontro.
[1] Sulla problematica rappresentazione del potere nel cinema italiano, G. Canova, Divi Duci Guitti Papi Caimani. L'immaginario del potere nel cinema italiano, da Rossellini a The Young Pope, Bietti Heterotopia, Milano, 2017.
[2] Cfr. M. Grande, La commedia all'italiana, Bulzoni, Roma, 2002, p. 49.
[3] N. Frye, Anatomia della critica, Torino, Einaudi, 1969, p. 59 e p. 217
25/04/2018