Alquanto bislacca, ma di una positività coinvolgente. Un autore che ha diretto opere di disarmante e appassionata sincerità, si trova tra le mani una favola (che c'entra col suo cinema?) costruita a tavolino, che non si integra perfettamente con la sua poetica dei bassifondi, ma che gli consente di tornare a parlare della sulla sua seconda passione: il calcio. La prima è la politica.
Per tali considerazioni, il lavoro che richiama un paragone con questo "Looking for Eric" è "My Name Is Joe", tra i film più sentiti e autentici della coppia Ken Loach-Paul Laverty (il fido sceneggiatore, sempre troppo poco citato); uno dei loro capolavori. Ma anche un'opera centrata sul mondo del pallone e con risvolti di insostenibile drammaticità.
Il debutto in un ruolo di primo piano dell'ex stella del Manchester United ne rappresenta una sorta di versione ottimista: il realismo è affidato alle immagini di repertorio, che l'amore degli autori per il calcio sa rendere più emozionanti che se viste dal vivo, mentre gli inserti surreali e il finale, che regala al protagonista, se non il riscatto sociale, almeno il recupero della propria dignità, contribuiscono ad alleggerire la materia.
Come di consueto, è convincente la rappresentazione dell'ambiente malavitoso e dei meccanismi per cui è arduo uscirne, per chi ne è suo malgrado invischiato. Peccato che gran parte del film sia satura di imprecazioni, urla, confusione assortita. E non è la prima volta che Loach la butta in caciara. Ma in questo caso a riscattare il tutto ci pensano le ultime sequenze, altrettanto strillate, ma assolutamente divertenti e trascinanti.
Eric, l'eroe del film (omonimo del calciatore), non è altro che una delle memorabili figure di proletari perdenti cui Loach ci ha abituato. Nell'ideale galleria dell'autore siede accanto non solo a Joe, ma anche ai protagonisti di film come "Riff Raff" e "Piovono pietre". Tuttavia, la nota finale non può non spettare a Lui ("Io non sono un uomo, io sono Cantona"). A un certo punto si camuffa assumendo le sue stesse sembianze, ma anche in carne e ossa è una buona maschera, adatta a un cinema semplice e popolare come quello loachiano. Una seconda carriera in questo ambito, forse, non gli è preclusa.
27/07/2009