Che Albert Camus sia per il cinema un soggettista accattivante quanto ostico è evidente dai tanti tentativi, spesso malriusciti, effettuati anche da grandi registi (che si aggiungono a una miriade di autori televisivi) di adattare i suoi testi. Il materiale di partenza è sempre di indubbio interesse e tanti affrontano il cimento. Ma chi griderebbe al capolavoro per "Lo straniero" di Luchino Visconti o "
Il primo uomo" di Gianni Amelio, specie raffrontandoli con altre opere dei suddetti autori? Ora ci prova un regista meno esperto come il francese David Oelhoffen, il cui blasone è talmente inferiore che la sua selezione nel concorso di Venezia 71 ci aveva fatto preventivamente storcere il naso. L'opera quarta di questo cineasta mai, fino ad ora, distribuito in Italia, è una messa in immagini del racconto "L'ospite", inserito nella raccolta "L'esilio e il regno" e affronta il tema, caro a Camus, dell'identità in bilico tra Francia e Algeria.
Ambientato nel 1954 nello stato africano colonizzato dai transalpini, "Loin des hommes" narra dello scoppio della guerra civile e dell'insegnante Daru (Viggo Mortensen), dalle sembianze europee ma nato in Algeria, che vi rimane invischiato. Mentre alcuni suoi colleghi ci hanno lasciato le penne, accusati di connivenza e vittime di attentati, a Daru viene dato in consegna il prigioniero Mohamed (Reda Kateb) in attesa di essere processato per l'omicidio del cugino. Il che significa, in pratica, in procinto di essere giustiziato. A sorpresa, l'arabo preferisce questa sorte alla liberazione da parte dei suoi connazionali, poiché la sua morte per mano "esogena" interromperebbe la catena infinita di faide familiari previste dalla tradizione clanica. Ai tentativi di liberazione, ma anche al reclamo dei coloni che lo accusano pure di altri reati e intendono rivalersi, si oppone Daru, palesando una padronanza totale (eccessiva, ai fini della credibilità delle sequenze) delle armi da fuoco e delle tecniche di combattimento. Si scopre così essere un ufficiale riservista dell'esercito francese (ma non basta, sempre ai fini di cui sopra...).
Così, un uomo la cui missione era ormai, semplicemente, l'insegnamento, che crede nelle virtù dell'istruzione a partire dall'alfabetizzazione - come è implicito nell'incipit in cui spiega agli studenti il passaggio dalla preistoria alla storia, dunque la nascita della civiltà umana -, è costretto a tornare a raffrontarsi con la violenza. Per salvare se stesso e il nuovo convivente, intraprende un viaggio nei paesaggi desertici della catena montuosa dell'Atlas. Lo svolgimento che segue lambisce i canoni del western (obiettivo dichiarato del regista) e del
road movie, pur rimanendo nei ranghi del film storico e della riflessione culturale e politica offerta su un piatto d'argento dall'opera di Camus (un incontro fondamentale è quello di Daru con i suoi vecchi commilitoni, suoi sottoposti, che ora militano tra i ribelli; il film non manca di sottolineare i crimini di guerra commessi dai francesi). È questa la contraddizione irrisolta della pellicola. Le scene, frastornanti, di combattimento vengono restituite con uno stile che punta a una spettacolarizzazione eccessiva rispetto all'impianto realistico dell'assunto. Tuttavia, la strada percorsa fianco a fianco dai due solitari antieroi regala momenti di confronto, memoria, amicizia virile di rara profondità, e sequenze poetiche, toccanti, mirabili quanto a delicatezza, in ultima istanza memorabili, come quella nel bordello di Berzine.
Inadeguato e fuori parte, comunque, Viggo Mortensen, che recita in tre lingue ma, inamidato e inespressivo, sembra ricalcare il Tom Stall di "
A History of Violence", trapiantato pari pari in un contesto rispetto a cui è del tutto estraneo.
31/08/2014