Reiko è una scrittrice in crisi creativa. Il suo editore le propone un soggiorno in una casa in campagna per rilassarsi e riprendere a scrivere. Appena trasferita, Reiko vede dalla finestra un uomo trasportare quello che le sembra un corpo. Successivamente scopre che si tratta di Yoshioka, un antropologo dell'università che sta studiando una mummia. Intanto Reiko avverte delle strane presenze all'interno della casa, e là scopre un manoscritto.
Questa volta Kurosawa si è concesso il divertimento di giocare con lo spettatore.
A una prima occhiata di superficie può sembrare che egli abbia scelto di mostrare, come mai prima, il perturbante che solitamente suggerisce alternative possibili, e quasi mai percorribili, all'interno della sua opera. Ma al secondo sguardo appare già chiaro che non solo non è così, ma che addirittura tutto quel mostrare è fuorviante, quello che lo spettatore vedrà in realtà non è che il fumo negli occhi che Kurosawa getta per mascherare, ancora una volta, i contenuti inquietanti di cui il suo cinema è saturo. Non è la mummia il vero punto del racconto, e nemmeno il fantasma della precedente inquilina, forse uccisa da uno o dall'altro dei protagonisti, non importa chi. Né la crisi creativa di Reiko ha di per sé un significato, se non nella misura in cui apre la porta al perturbante che stavolta abita non solo la casa, ma anche l'anima di chi silenzioso nella notte porta a spasso una mummia. O forse potrebbe sembrare che l'editore sia invischiato a molti livelli con la sorte della precedente inquilina, ma neanche questo è importante. La polizia, i corpi e il fango sono solo la superficie dietro cui aleggia altro, un altro da sé che Kurosawa nasconde bene, mostrandolo solo in un contesto quotidiano e quindi rassicurante.
Alla fine il nostro sguardo si poserà su un oggetto, in campo fin dai primi fotogrammi e per questo trascurato da tutti, l'inceneritore. Il destino ultimo di tutti gli elementi contenuti nel racconto ci appare chiaro a mano a mano. Dapprima c'è la spazzatura, e qua siamo nella norma, il quotidiano è ancora normale e rassicurante.
Poi appare il manoscritto, a segnalare il destino ultimo delle aspirazioni di Reiko. Il manoscritto che lei spaccerà per suo e che alla fine brucerà non è che il segno di quella che era la sua aspirazione e della fine di questa. Nel momento in cui lei passa il segno e parla alla mummia sappiamo già che cosa accadrà a quel manoscritto, e con esso scopriamo il destino delle aspirazioni letterarie di Reiko. Cenere alla cenere.
Poi abbiamo la mummia, e qua il discorso si fa non solo complesso, ma addirittura ermetico. Se Yoshioka è ossessionato dalla mummia, come potrà uscirne senza distruggerla? E quando la mummia verrà sballottata qua e là nel tentativo di darle una collocazione ultima che sia interna e non più esterna al racconto ed alla vita dei protagonisti, come si potrà mai legare la sua presenza alla vita di chi aspira, per vie diverse all'immortalità? La mummia, come le aspirazioni letterarie di Reiko è l'emblema dell'immortalità, il senso ultimo di sopravvivenza al proprio tempo. E in questo caso essa è ancora una volta destinata a sopravvivere al momento, attraverso la proiezione che Yoshioka non può più fare a meno di fare, per coprire la sua colpa. La mummia può essere sia il segno delle possibilità di fama dell'antropologo, che il ricettacolo della sua colpa,
vieni con me, gli dice il fantasma,
dove?, fa lui,
all'inferno. Cenere alla cenere.
E ultimo, ma non meno importante, il dubbio, illustrato attraverso immagini oniriche, circa la responsabilità nella morte della precedente inquilina, il fantasma. Questo viene affidato alle fiamme solo per traslato, in verità verrà sprofondato nell'acqua, elemento primordiale e portatore di vita, e pertanto affidato al sogno ed alla permanenza attraverso il tempo. Tutti gli attori del dramma in realtà, sia pure inconsapevolmente, aspirano all'immortalità, un'aspirazione che costerà in termini emotivi molto più di quello che ciascuno è disposto a spendere. E l'inceneritore è l'indicatore di quello che potrà o non potrà sopravvivere sul serio. Allora via il manoscritto, via anche la mummia e con loro il desiderio di fama che affligge Reiko e Yoshioka, via pure il sogno di immortalità del fantasma, che bizzarramente si realizza attraverso la morte, e via la colpa di chi forse ha causato la sua morte e, tramite questa, la sua sopravvivenza al momento.
Kurosawa ci racconta tutto questo con la consueta maestria e con più di un pizzico di cattiveria. La rappresentazione onirica completa l'intento del regista di scardinare i generi per raccontare con occhi nuovi il dramma del desiderio di immortalità e il pericolo che questo si realizzi davvero. Gli attori, per una volta, sono lasciati ad agire il vissuto in completa solitudine, la mdp non li seguirà paradossalmente non lasciandoli un attimo, confondendo le carte nel tentativo di stordire lo spettatore con la mole di dati, gran parte dei quali onirici. La fotografia è più sporca del solito, quasi a voler sottolineare i contenuti del racconto e non più le forme dello stesso.
Appare a questo punto più che chiaro che la capacità di Kurosawa di cimentarsi con i generi è sostenuta dalla sua grande abilità nel mescolarli e per questo a volte addirittura riscriverli.
"Loft" è un modo nuovo per raccontare cose vecchie, e poichè si tratta di cose già dette, del loro modo di sopravvivere nonostante la mole di opere che ne hanno trattato ogni aspetto.
20/06/2008