"Ch'esso il tuo fiore, il folgorio del fuoco
padre d'ogni arte, t'involò, lo diede
ai mortali. Ai celesti ora la pena
paghi di questa frodolenza, e apprenda
a rispettar la signoria di Giove,
a desister dal troppo amor degli uomini."
(Eschilo, "Prometeo Incatenato")
Sebbene per molti aspetti si rifaccia al classico d'animazione Disney del '67, questo nuovo riadattamento del romanzo di Kipling: "Il libro della giungla" si distanzia dal suo predecessore per un aspetto fondamentale.
Non è tanto l'utilizzo delle moderne tecniche di computer-grafica né il grande lavoro tecnico (seppur ottimo) a donare un profumo di novità a questo nuovo lungometraggio di Jon Favreau, rispetto alla pellicola cult di Wolfgang Reitherman, ma piuttosto una scelta contenutistica forte, la valorizzazione di un elemento fondamentale all'interno della storia: la techne come proprium dell'Uomo, come suo principio d'individuazione, che qui si esprime soprattutto nella capacità di dominare il "padre d'ogni arte", il "fiore rosso": il fuoco.
Mowgli è un cucciolo d'uomo, figlio di una razza senza artigli e senza zanne, incapace di difendersi dalla spietatezza della natura. Ma in quanto uomo egli è anche l'unico tra gli animali dotato di ingegno: dono prometeico capace di renderlo, paradossalmente, il più forte.
Ma la legge della giungla non conosce i "trucchi" umani, e di fronte alle abilità innaturali di Mowgli il mondo animale si frammenta in schieramenti opposti. Ecco allora che Favreau ci scaraventa in un'agone di liane e faune tropicali in cui si fronteggiano contrastanti alleanze politiche tra bestie. Da una parte c'è la pantera Bagheera convinta che l'inserimento nel mondo animale escluda del tutto l'utilizzo di capacità personali, viste come un'inganno. Dall'altra c'è Baloo: sostenitore di un'integrazione che mantenga, al contempo, l'individualità di ciascuno.
Ma ci sono anche la tigre Shere Kahn, convinta che l'uomo sia un male a priori, e il mastodontico King Louie (qui molto più infido e oscuro rispetto al cartone animato): prototipo della brama di potere e deciso a utilizzare Mowgli come mezzo per i suoi interessi personali.
Di fronte a questi eterogenei schieramenti l'uomo non può che sciorinare l'altra sua caratteristica fondante: la Politica, nel suo significato etimologico più radicale, ovvero la capacità di tessere insieme gli opposti e riunire la comunità di fronte a un timore comune (in questo caso: di fronte alla spietata tirannia di Shere Kahn).
E se nella pellicola originale vinceva il principio secondo il quale ognuno è al suo posto solo in mezzo al proprio popolo, ora pare possibile la creazione di una koiné, di una comunità integrata nel suo complesso, ma al cui interno ognuno mantiene la propria tradizione e la propria autonomia, la quale anzi viene valorizzata e diventa strumento di miglioramento per la collettività.
E forse questo cambiamento di vedute non è da considerarsi un semplice vezzo di sceneggiatura, ma il prodotto di una mutata visione della mondo, causata da un presente oggi molto più complesso e sfaccettato.
Risiede in questo l'autonomia dell'opera del regista newyorkese e la sua abilità sta nel riuscire a mutare uno dei concetti portanti dell'opera, pur mantenendola riconoscibile e senza operare stravolgimenti nella struttura narrativa, i quali avrebbero fatto storcere il naso a quanti sono cresciuti nell'immaginario dei classici Disney.
Il marchio del classico è qui totalmente riconoscibile e il prodotto è dunque solo una piccola variazione su un'aria che mantiene il suo carattere educativo fondamentale. A causa di ciò, sulla scia dei vari riadattamenti operati dalla cinematografia contemporanea, questo "Il libro della giungla" si pone più vicino alla "Cenerentola" di Kenneth Branagh e si distanzia (fortunatamente) da lavori arditi ma poco efficaci come "Alice In Wonderland" di Tim Burton o "Biancaneve e il cacciatore" di Rupert Sanders.
Anche senza ottenere un capolavoro si da in questo caso una buona rispolverata a temi intramontabili e sempre attuali.
Lo stile contemporaneo e l'utilizzo della CGI non vengono qui usati per un'azione fine a se stessa, ma per donare nuova linfa a prodotti che, in questo modo, risultano maggiormente godibili a un pubblico giovane, richiedente un'immedesimazione e un realismo sempre maggiori.
Buono anche il doppiaggio italiano, su cui spicca l'inaspettato Giancarlo Magalli nel ruolo di King Louie, a cui è affidata una delle due canzoni qui riproposte: "Lo stretto indispensabile" (cantanta da Neri Marcorè nei panni Baloo) e, appunto, "Voglio essere come te".
cast:
Neel Sethi
regia:
Jon Favreau
titolo originale:
The Jungle Book
distribuzione:
Walt Disney Studios Motion Pictures
durata:
105'
produzione:
Walt Disney Pictures, Fairview Entertainment
sceneggiatura:
Justin Marks
fotografia:
Bill Pope
scenografie:
Christopher Glass
montaggio:
Mark Livolsi
musiche:
John Debney