Forse non è tanto l'intreccio povero e tutto sommato banale a rendere "Last Night" debole, superficiale e scontato, quanto i personaggi abbozzati, i dialoghi artificiosi e inverosimili, delle situazioni poco plausibili, o talmente stereotipate da lasciare proprio poco se non un'atmosfera notturna ed elegante. Il matrimonio, il tradimento, il senso di responsabilità e del dovere, l'attrazione, il rimpianto, la gelosia, il sospetto: tutto già visto, insomma. Non si insinua nella trama e nei dialoghi niente di originale, nessun tentativo di approfondimento o variazione sul tema. Belli, inviadiabili benestanti newyorkesi che vivacchiano nei loro loft, litigano con pretesti, partecipano a feste, non avvertono nemmeno la crisi economica, parlano e si tormentano superficialmente con quesiti sulla fedeltà, sull'amore, su l'arte.
"Last Night" è costruito con due storie che si sviluppano in parallelo. Da una parte, la notte newyorkese di Joanna (Keira Knightley) e Alex (Guillaume Canet), il vecchio amore parigino, scrittore e tenero mascalzone (potrebbe essere più romantico di così?) tornato in città per un giorno. Dall'altra Michael (Sam Worthington), il marito di Joanna, in trasferta a Philadelphia con l'affascinante collega Laura (Eva Mendes), dalla quale viene corteggiato come un salame.
Massy Tadjedin, irano-americana al suo primo film (già sceneggiatrice di "The Jacket") sembra decisamente più interassata alla situazione newyorkese, tanto da ridurre la seconda a un inutile e forzato corollario. I dialoghi restano al minimo sindacale, e probabilmente nella versione italiana qualcosa negli accenti dei personaggi è andato irrimediabilmente perduto. Tutto insomma contribuisce alle banalità di cui sopra, se non alcune impennate momentanee come uno struggente addio (nemmeno troppo struggente, ma per un attimo risveglia dal tortpore). La Tadjedin arriva perfino a ruffianarsi le simpatie del pubblico introducendo un simpatico cane (tipo pubblicità della carta igienica).
Non tutto negativo, però. L'ottimo montaggio di Susan E. Morse (storica collaboratrice di Allen, un'esperta quando si tratta di frammentare) è una vera e propria lezione di stile, soprattutto nella prima parte. Ma non può fare miracoli. E si scivola verso un finale furbetto e pretenzioso (alla "Soprano" per intenderci). Ciò non toglie alla Tadjedin il merito di una regia dinamica che costruisce atmosfere a volte suggestive, mentre i demeriti maggiori vanno al suo script. Nulla di male che il punto di vista sia maggiormente femminile, ma il rischio è che il film diventi buono per stilare situazioni-tipo sulle riviste da parrucchiera, e addio velleità autoriali che sembrano voler emergere.
Può far pensare a "Closer", così come a una lunga lista di altri film. Keira Knightley è sicuramente quella in più parte dovendo reggere l'unico ruolo abbastanza sfaccettato, tra insicurezze, smorfie, tentazioni, accuse, malizie. Per il resto poco da segnalare. Il tradimento emerge in due risvolti, fisico e sentimentale, tanto che viene da chiedersi quale dei due possa essere quello più grave. Ma stupisce come nella New York del 2010 possa suscitare tante remore, tante domande, tanta curiosità la sola ipotesi di un adulterio, come ci si possa ricamare sopra a tal punto.
Pare che la Tadjedin abbia scritto una riduzione di "Le voyer" di Robbe-Grillet per la Columbia, che a questo punto aspettiamo con una certa apprensione.
22/11/2010