Sembra di esserci, nella Edimburgo del 1828. Introdotti da un boia, per altro. Vuoi la meticolosa ricostruzione degli ambienti, vuoi i colori che rimandano a tante trasposizioni "ottocentesche" (il direttore della fotografia John Mathieson ha impiegato luci naturali stile "Barry Lyndon"), vuoi il calore delle serate al pub contrapposte al freddo nebbioso degli esterni circostanti, sembra proprio di aggirarsi per una città provinciale che sta diventando un crocevia di cultura e scienza, dove puoi sentir nominare - un po' troppo di frequente? - personaggi illustri e imbatterti ad esempio in un William Wordsworth.
E incontrare facce di rara autenticità, accuratamente selezionate grazie a uno straordinario lavoro di casting (specie per i personaggi maschili) che affianca azzeccati caratteristi ai volti noti dei Christopher Lee (già Dracula), Tim Curry ("Rocky Horror"), Costa-Gavras. Tutti comprimari al servizio di Simon Pegg e Andy Serkis, i William Burke e William Hare realmente esistiti, narrati anche da Stevenson, già portati sullo schermo da Robert Wise ("La iena", con Boris Karloff) e Roy Ward Baker, tra gli altri.
In sala dopo da un passaggio fuori concorso al Festival di Roma, il ritorno al cinema, lontano da Hollywood, di John Landis, reduce dal flop del sequel dei "Blues Brothers" e dall'impegno televisivo nella serie "Masters of Horrors", non è il capolavoro cui qualcuno ha gridato. La folle anarchia del film con Belushi e Aykroyd è agli antipodi: qui si avvertono anzitutto un controllo maniacale, poi la necessità di voler divertire a tutti i costi, puntando sulle sistematiche smorfie degli attori - che paiono usciti da un film d'animazione - e su un ritmo ossessivo, monocorde, senza pause.
Il regista fa la spola tra due generi di cui maestro, l'horror e la commedia, innestando la seconda (decisamente predominante) sui cliché del primo, realizzando infine una gradevole favola gotica, nera, nerissima, che percorre a volo d'uccello tante, troppe tematiche. In primis i costi del progresso, che passa inevitabilmente da crimini e cadaveri, ma anche l'evoluzione dell'arte e della cultura, il rapporto tra piccoli delinquenti dilettanti e crimine organizzato. La realizzazione di una mappa dettagliata del corpo umano si giova dell'invenzione della fotografia; occorre denaro, non importa quanto legalmente ottenuto, per mettere in scena il primo "Macbeth" al femminile.
Nel film di Landis tutto ciò si interseca e la vicenda si dipana sulla base delle relazioni che intercorrono tra i personaggi. Una moglie scopre l'attività di quel farabutto del marito e si aggrega alla combriccola, si fa a gara a chi è più disonesto tra il medico progressista e innovativo e l'esimio collega conservatore e politicamente protetto, persone senza valore lo acquistano una volta morte, la storia inizia e si chiude con un'esecuzione. Sembra un horror, fa abbastanza ridere.
05/03/2011