“Babbo, che cosa vedi quando guardi il mondo?”
L’esperienza vissuta da Tiziano Terzani, la consapevolezza cioè di lasciare un’eredità spirituale nel momento in cui il proprio cerchio sta per chiudersi, rappresenta forse il traguardo più autentico compiuto dal genere umano. Il testamento di un padre che racconta al proprio figlio le sue avventure, la sua visione della vita, diviene così un modo per scolpire valori e significati nella mente e al tempo stesso aprire gli occhi ad un mondo che “vediamo” ma che non “osserviamo” abbastanza. Tutto ciò è raccolto nel libro “La fine è il mio inizio”, uscito postumo e realizzato grazie alle preziose interviste confezionate dal figlio Folco. Quella di Terzani è la testimonianza di un uomo dotato di una profondità inestimabile che, una volta raggiunto tutto nella vita, non gli resta altro che una sola cosa da conoscere (“Ormai mi incuriosisce di più morire. Mi rincresce solo che non potrò scriverne”).
Il progetto di trasformare il libro in un film arriva dalla volontà di Ulrich Limmer che, insieme a Folco Terzani, contribuisce anche alla sceneggiatura. La regia è affidata a Jo Baier, regista cinematografico e televisivo tanto noto in Germania quanto sconosciuto dalle nostre parti. Certo, la sfida è di una portata enorme e l’impresa di riproporre gli ultimi giorni del famoso giornalista con i temi che ne seguono potrebbero risultare un’arma a doppio taglio. O forse, chissà, potrebbe essere per contro un’occasione per (ri)scoprire un mondo nuovo e per rifugiarsi, tra i novanta minuti di pellicola, in lunghi attimi di meditata riflessione. E infatti “La fine è il mio inizio” (il film) è talmente pregno di esistenzialismo e di vita che difficilmente può essere circoscritto all’interno di un linguaggio/genere cinematografico. Nel modo più spicciolo possibile la definizione più appropriata è quella di una lunga chiacchierata tra un padre e il proprio figlio (con connotati decisamente meno lirici ma egualmente efficaci da quelli messi in scena dal russo Sokurov), un “audiolibro illustrato”, come hanno sottolineato molti critici, che non ha bisogno dell’immagine per scardinare le emozioni dello spettatore, così come non si presta alla riduttiva soluzione del flashback per spiegare un passato vissuto tra i territori asiatici della Cina, del Vietnam, dell’Himalaya. I contenuti delle conversazioni sono indottrinamenti umani e civili, verità sulla società odierna, riverberi straordinari che hanno come oggetto la morte, eterno tabù delle culture occidentali, in una sorta di rivisitazione dell’Artes Moriendi. Se lo spettatore raccoglie la giusta predisposizione nel saper captare questi insegnamenti, che hanno il privilegio di non cadere nell’ovvio e nel ridicolo, l’emozione che regala il film non può davvero essere elusa. Come quando Terzani raccoglie attorno a sé la famiglia nel momento del trapasso, momento che secondo lo stesso altro non è che una semplice compenetrazione con la natura da sperimentare col sorriso. La regia di Baier è ben nascosta seppure non manchino scene dalle tinte forti (il cambio del catetere) e simboliche (la tempesta notturna come preludio all’arrivo della morte). Per la quasi totalità il film regge infatti sulle prove attoriali del nostro Elio Germano e soprattutto di un solenne Bruno Ganz, ritratto impeccabile di una sofferenza e di una malattia giunti ormai sul punto di non ritorno (lo stesso Baier in un’intervista sottolinea come “senza Ganz il film, forse, non sarebbe mai esistito”).
Poco importa se le pur bellissime note di Ludovico Einaudi forzano un po’ il sentimento e l’emozione, se un tema come quello della morte non possa mai essere messo per immagini in modo definitivo, se la difficoltà tecnica rappresentata dalle lingue (Ganz recita in tedesco, Germano in italiano) forgia un doppiaggio al limite del vero considerando che i dialoghi vertono su aspetti puramente introspettivi. Ciò che conta in un film come questo non ha bisogno di essere descritto, tutto è racchiuso in quel lancio delle ceneri, immagine dalla potenza straordinaria. Il cerchio si chiude, è l’inizio di una nuova vita.
cast:
Bruno Ganz, Elio Germano, Andrea Osvart, Erika Pluhar
regia:
Jo Baier
titolo originale:
La fine è il mio inizio
distribuzione:
Fandango
durata:
98'
produzione:
Rai Cinema, Collina Filmproduction, Beta Cinema
sceneggiatura:
Ulrich Limmer, Folco Terzani
fotografia:
Judith Kaufmann
scenografie:
Eckart Friz
montaggio:
Claus Vehlisch
costumi:
Gerhard Gollnhofer
musiche:
Ludovico Einaudi