È una tendenza recente del Cinema sulla Sardegna quella di incentrare le pellicole in quel territorio in penombra collocato tra la storia e la leggenda, tra le dicerie e le antiche credenze, che danno corpo a personaggi i quali, pur non corrispondendo a una storicità onomastica o biografica, possono esemplarmente evocare figure simboliche della cultura popolare, la cui credibilità trae linfa proprio dall’indefinitezza delle coordinate spaziali e temporali che le hanno generate. È a tale orizzonte che guarda, ad esempio, "L’accabadora" (2015) di Enrico Pau, opera rotonda e coerente in cui si ripercorrono le vicende che hanno per protagonista una donna di mezza età cui era demandata la funzione sociale di porre fine alle sofferenze dei moribondi praticando l’eutanasia. Il titolo del film è proprio il termine dialettale impiegato per indicare tale figura e significa letteralmente “colei che porta a termine”.
Altra figura della tradizione popolare dell’isola portata sul grande schermo è quella di “sa coga”, ovvero la strega, protagonista di "La terra delle donne". L'opera del duo registico costituito da Marisa Vallone e Paola Sini, vorrebbe essere uno spaccato rurale e sociale dell’isola attraverso alcune figure femminili. Oltre a Fidela, la protagonista, vi sono la figlia adottiva Bastiana, la sorella Marianna e l’anziana madre. La diegesi ha inizio tra le due guerre con la nascita di Fidela, settima figlia di una prole senza maschi. Il ruolo sociale di strega e fattucchiera è conseguenza dello stigma che prende forma ogniqualvolta la bambina cerca una piena integrazione nella comunità: le feste, i riti, i momenti di convivialità ne fanno un’emarginata, una figura guardata con diffidenza quando non con disprezzo, un po’ come accade per il protagonista di "Il muto di Gallura" (2022). Mentre però nel film di Matteo Fresi la menomazione fisica si traduce in un potente motore drammaturgico in quanto pungolo alla metamorfosi eroica del protagonista, in quello di Marisa Vallone, Fidela appare come una figura più annacquata, il cui scavo psicologico è solo vagamente abbozzato.
A compomettere la riuscita del film è una sceneggiatura incerta che tenta di fare il punto su troppe linee narrative. Anche paragonata alla protagonista del film di Pau, Fidela manca del mordente recitativo che molte sequenze de "L’accabadora" ci avevano regalato. Brevissime scene pressochè mute, infatti, accennano a riti apotropaici troppo stilizzati per poterci dire qualcosa di più sul personaggio. Anche i continui cambi di location privano il film di quel mood che si tenta di restituire con un contributo passivo, puramente scenografico degli ambienti e delle musiche alla vicenda narrata. Così, mentre in "L’accabadora" l’alternanza tra gli ambienti all’aperto e quelli al chiuso, tra quelli agresti e quelli cittadini garantisce comunque la coerenza descrittiva e introspettiva della protagonista grazie a un uso accurato della fotografia, in "La terra delle donne" vi è ben poco di tutto ciò e gli sfondi, pur di per sé esteticamente gradevoli, scadono al rango di cartoline. Non immune da difetti di sceneggiatura, probabilmente dovuti anche alla sceneggiatura a due mani, il film è come un centone di buone intenzioni che rimangono sulla carta. Una delle occasioni in cui la distonia appare più evidente si ha quando Marianna, che vive il dramma della maternità mancata, chiede una benedizione a Don Marcello: l’interno della chiesa è illuminato in modo fortemente evocativo data l’importanza del momento, ma quando sembra che qualcosa d’importante sia destinato ad emergere dal dialogo tra i due ecco che la tensione si scioglie nel macchiettistico. Anche Bastiana è un personaggio più stilizzato che delineato: i dialoghi tra madre e figlia sono troppo limitati per garantire una individualità a quest’ultima. Gli altri pochi personaggi maschili si inseriscono goffamente nella vicenda: Thomas, anziano soldato e padre di Bastiana, James, un po’ fotografo e un po’ avventuriero senza scrupoli e Mamoto, un giapponese capitato nell’isola per svolgere delle ricerche sulla longevità. Completano il quadro sequenze in cui i Mamuthones, maschere tradizionali del carnevale isolano, compaiono vestiti di tutto punto come elemento puramente esornativo.
cast:
Freddie Fox, Jan Bijvoet, Hal Yamanouchi, Alessandro Haber, Valentina Lodovini, Syama Rayner, Paola Sini
regia:
Marisa Vallone
titolo originale:
No potho reposare
distribuzione:
Adler Entertainment
durata:
104'
produzione:
Fidela Film, New Time, Rai Cinema, Armeni G.E.S. Production
sceneggiatura:
Paola Sini, Marisa Vallone
fotografia:
Luca Coassin
scenografie:
Alfonso Rastelli
montaggio:
Irene Vecchio
costumi:
Stefano Giovani
musiche:
Fondazione Maria Carta, Tazenda