Simon Daoud è un uomo di mezza età, talentuoso musicista dal carattere dimesso e ritroso. Quando si ritrova a dare lezioni di violino a una classe composta da una scapestrata banda di dodicenni parigini multietnici, la sua scontrosa e disillusa animosità si scontra con quella dei giovani alunni. Saranno paradossalmente questi ultimi a rigenerare la passione di Simon nei confronti della musica e dei benefici che questa può dare in ambito di integrazione, formazione e identità personale. L'idea fondativa di Rachid Hami ("Choisir d'aimer", 2008) non è certo il cavallo di battaglia su cui soffermarsi per rimarcare gli aspetti positivi del film, eppure si deve per forza di cose, cominciare da questo punto per comprendere a pieno la lettura de "La mélodie". Perché il soggetto riconduce a storie di riscatto giovanili già viste ("
La classe - Entre les murs" di Laurent Cantet del 2008 è forse la più citata fonte di ispirazione) e possiede un livello del racconto talmente prevedibile da riuscire a decriptare la sequenza finale sin dalle prime battute. È quindi chiaro che non sia il canovaccio e più in generale l'apparato narrativo a interessare Hami.
"La mélodie" è dunque un lavoro dove il contenuto sembra viaggiare con il pilota automatico mentre il contenitore è il reale oggetto di dibattito, il pilastro portante del lavoro. Dialoghi ridotti al minimo, sguardi, improvvisazioni dall'animo sincero e soprattutto la musica (quella originale è di Bruno Coulais, "
La canzone del mare", 2014). È questo che interessa Hami, l'idea di destrutturare le sequenze per ritrovarne l'essenza. Operazione che riesce per metà perché cercare di svincolarsi dal cliché narrativo è operazione piuttosto difficile. Ma impegno e buoni propositi si intravedono comunque e il regista è sempre ben attento nel cadere nell'ampollosità, nella retorica del già visto e del patetico. Su questo aspetto la lode è soprattutto da attribuire alla buona interpretazione del protagonista, un sorprendente Kad Merad nelle insolite vesti di un personaggio drammatico, e dei bambini della
banlieue. Nessuno di loro sapeva suonare un violino prima di avviare le riprese. Il percorso di crescita e formazione passa attraverso il potente canale della musica classica sia per i personaggi del racconto, sia per i giovani attori. Entrambi sfidano con impegno quotidiano il raggiungimento di un obiettivo: a suonare alla fisarmonica ci arriva Arnold ma anche il giovane attore Alfred Renely. A riuscire a portarcelo è Simon ma anche il regista.
Hami strizza l'occhio a Ken Loach e sicuramente al maestro Abdel Kechiche con il quale ha interpretato "
La schivata" (il concerto qua sostituisce la recita). Il risultato è piuttosto distante da entrambi, soprattutto se si pensa al caloroso climax che a più riprese rischia di scivolare nell'impianto televisivo. Eleganza e buoni propositi come abbiamo visto sono garantiti, un po' meno la sceneggiatura ingessata, addirittura scritta a sei mani! "La mélodie" è, in estrema sintesi, un lavoro elegante e dal lodevole e sincero impegno "didattico" ma che fa fatica ad allinearsi con i tempi e le meccaniche del cinema.