Bianca è una transessuale milanese che ospita i clienti nel suo appartamento: la vediamo passarsi meticolosamente il trucco, scegliere i vestiti, preparare le stanze illuminate solo con candele, poiché la casa è sprovvista di luce elettrica. In questa dimensione intima, si affacciano anche gli amici; ascolteremo le tracce della sua vita affettiva, consumata a distanza per telefono con la sua partner Natasha, che vive da tempo in Brasile.
Presentato nella sezione Forum alla settantesima edizione della Berlinale, “La casa dell’amore” del regista Luca Ferri si pone come un documentario in interni della vita di Bianca Dolce Miele e capitolo conclusivo, girato stavolta in digitale, della “Trilogia dell’Appartamento”, che l’autore bergamasco aveva cominciato nel 2018, firmando le opere “Dulcinea” e “Pierino”: due storie raccontate come quest’ultimo film dentro le quattro mura.
Non deve essere stato semplice, né immediato, ricostruire l’agenda di una prostituta, che è stata ripresa con i suoi veri clienti in alcuni momenti; per altre situazioni, invece, si è reso necessario l’utilizzo di attori per reinterpretarli. Una soluzione che non spezza l’armonia né la riuscita verosimiglianza cercate dal regista, dando vita a un collage di “quadri privati” che non risultano claustrofobici, anzi, danno l’impressione di aprirsi a vere e proprie epifanie, nonostante la solitudine. Con “La casa dell’amore”, infatti, Luca Ferri ribadisce un percorso che si distanzia da una narrazione cinematografica omologata, che evita accuratamente la superficialità, il glamour o l’ammiccamento. Attitudine già mostrata, peraltro, nel documentario del 2011 "Magog", di cui Ferri era coautore. Ne "La casa dell'amore", però, allo spettatore è richiesta una continua partecipazione, quasi come fosse una parete invisibile chiamata a sostenere le storie e i racconti abbozzati dentro questo film. Inoltre, Luca Ferri abbraccia una riflessione sul cinema come contenitore di più forme espressive, come la letteratura, la poesia, il cinema stesso, da utilizzare in modo coerente e rigoroso.
Seguiremo così Bianca anche durante le ripetute conversazioni telefoniche, in cui si rende disponibile ai clienti a ogni ora, facile da raggiungere perché a pochi metri dall’uscita dell’autostrada e dunque “più comoda dell’Autogrill”, come sottolinea ironicamente. Il pacato umorismo, la sua dolcezza, il tono amorevole quasi da mamma o sorella maggiore spingono verso un’epica dell’intimità i suoi clienti, i quali sembrano alla ricerca di affetto più che di prestazioni sessuali. Così Bianca appare sempre accanto ai propri uomini e ad altre persone bisognose o socialmente marginali, ai quali apre la sua casa come un rifugio claustrale, una tana dove il rispetto assume la dimensione del sacro. Il desiderio dell’altro è ascrivibile così a una purissima curiosità umana, suggeritaci anche dalla citazione del poeta Sandro Penna con cui si apre il film, che parafrasiamo così: la tenerezza è da considerarsi tale solo quando è aperta a cose nuove.
cast:
Dario Bacis, Domenico Monetti, Bianca Dolce Miele
regia:
Luca Ferri
durata:
77'
produzione:
Federico Minetti, Andrea Zanoli
sceneggiatura:
Luca Ferri
fotografia:
Andrea Zanoli, Pietro De Tilla
montaggio:
Chiara Tognoli
musiche:
Duccio Servi
Una transessuale milanese si prepara a incontrare i suoi clienti e trascorre all’interno del suo appartamento una vita affettiva tra numerosi amici e una fidanzata lontana.