"L'agnello", che ha ottenuto tre riconoscimenti al Festival del Cinema di Annecy del 2020 (premio per il miglior film, premio della giuria giovani e premio del pubblico) è in un certo senso l’altra faccia della Sardegna dei depliant turistici. Eppure è anche un ritratto riuscito fatto di poche pennellate, quelle giuste, che innervano un dramma familiare e rurale elevandolo a una dimensione universale e depurandolo da un’asfittica polemica epicorica.
Il regista Mario Piredda, all’esordio con un lungometraggio, pur calando la vicenda in un contesto sociale, economico e culturale abbastanza circostanziato, rinuncia a una cornice geografica e cronologica più precisa: non una data, non un cartello stradale compare nelle pur preponderanti riprese in esterni. Così facendo, ingenera nel pubblico l’interrogativo su cosa accade quando un’adolescente già orfana di madre è costretta ad affrontare il calvario di un male incurabile patito dal padre. In Anita, la protagonista, si sostanzia perciò l’adolescenza di chiunque sia costretto a crescere troppo in fretta. Sotto questo aspetto, non è fuori luogo accostare Anita al protagonista de "Padre e padrone" (1978), dei fratelli Paolo e Vittorio Taviani, e riconoscere a entrambe le pellicole una comune aspirazione universalistica.
A dimostrazione del fatto che il film di Piredda non ricalca i cliches dei film sulla Sardegna, vi sono anche le scelte di montaggio: alla sequenza incentrata sulla fine di un agnellino malformato ne segue un’altra in cui Anita suona la batteria. Uno stacco straniante, dal quale lo spettatore è indotto come da un colpo di frusta a destarsi dall’idillio pastorale. Sempre dal punto di vista delle scelte di montaggio, l’intreccio risulta piuttosto lineare, privo di flashback, anche se frequenti sono le ellissi, tanto che talvolta si ha la sensazione che il regista lavori per sottrazione, alla ricerca dell’essenzialità.
Un'essenzialità che tuttavia non rinuncia alla metafora. Già nel titolo. A più riprese, nel corso della diegesi, compare un altro agnellino di cui la protagonista si prende cura, accudendolo e portandolo addirittura in casa nonostante le rimostranze paterne. Interpretare il significato di tale metafora, e quindi anche del titolo del film, non è semplice, giacchè il regista non dissemina indizi. Potrebbe trattarsi dell’immagine in un certo senso evangelica della Sardegna, terra sacrificata, ferita dalle contaminazioni nocive dovute alla presenza delle basi militari. L’agnello potrebbe inoltre tacitamente simboleggiare la volontà dell’adolescente Anita di assumere nei suoi confronti una funzione protettiva, assurgendo a un ruolo materno e sublimando in tal modo la propria condizione di orfana. Oltre alle vicende dell’agnello, che si svolgono in filigrana con quelle della protagonista, c’è il succitato problema delle basi militari che, essendo solo accennato, costituisce un sub plot e non è il motore vero e proprio dell’azione. La filiazione tematica rispetto a "Materia oscura" (2013) di Massimo D’Anolfi è evidente, ma il peso specifico che questa riveste nel film non è il medesimo. Mario Piredda si rifugia nelle ellissi ogni volta che lo scontro tra le realtà civile e militare rischia di imboccare una dimensione ideologica. La presenza militare è così solo accennata, come un contrappunto impressionista: l’avanzare di un blindato, la presenza di un soldato, lo sfrecciare di un aereo, il filo spinato.
Il dualismo padre/figlia, elemento cardine della trama, è il frutto di un ripensamento del regista, che nella sceneggiatura originaria aveva pensato al rapporto padre/figlio (con una minore differenza d’età), modificato poi per ottenere una maggiore distanza tra i due attanti e imbastire così una relazione più sfaccettata e meno appiattita. Anita è infatti un’adolescente e in quanto tale il suo spettro comportamentale è oscillante: ha un atteggiamento contestatario e di aperta sfida nei confronti delle autorità militari, e dello zio, restìo ad aiutare il padre, mentre è allo stesso tempo tenera, comprensiva e talvolta complice del padre. Buone comunque tutte le prove attoriali, soprattutto quella di Nora Stassi (nei panni di Anita), esordiente in grado di bucare lo schermo. I suoi primi piani silenziosi immersi nella bellezza del paesaggio sono tra le sequenze più riuscite del film.
cast:
Nora Stassi, Luciano Curreli, Piero Marcialis, Michele Atzori
regia:
Mario Piredda
titolo originale:
L'agnello
distribuzione:
Articolture
durata:
98'
produzione:
Articolture, Mat Productions, RAI Cinema, Regione Sardegna, Sardegna Film Commission Foundation
sceneggiatura:
Mario Piredda, Giovanni Galavotti
fotografia:
Fabrizio La Palombara
scenografie:
Pietro Rais
montaggio:
Corrado Iuvara
costumi:
Stefania Grilli
musiche:
Marco Biscarini