Kristos frequenta l’ultima classe delle elementari sull’isola di Arki. Situata nelle propaggini settentrionali del Dodecanneso, l’isola è una delle più scarsamente popolate dell’Egeo, appena una trentina di abitanti. Kristos è l’unico alunno della scuola. Circostanza che lo pone in una condizione solitaria davvero insolita per un bambino, e azzera le occasioni di confronto. Sua unica referente dialettica è la maestra, che è pienamente consapevole delle difficoltà che scaturiscono dalla particolare situazione di Kristos, in termini di apprendimento e metabolizzazione delle conoscenze. Seconda particolarità della condizione di Kristos è che Arki non offre opportunità di proseguire il suo percorso di studi. Se vorrà continuare la propria istruzione, a partire dai restanti anni della scuola dell’obbligo, dovrà lasciare l’isola e andare a vivere dove ci sono le suole superiori.
La regista Giulia Amati, come ha dichiarato in occasione della presentazione del film a Venezia79 - dove è stato selezionato nelle Giornate degli Autori - ha trascorso molto tempo sull’isola di Arki. Le riprese sono durate un anno, fra 2020 e 2021. Tutto il tempo necessario per entrare a fondo in sintonia con l’ambiente e i personaggi, farsi accogliere dalla comunità locale e ridurre al minimo il proprio impatto come presenza estranea, riducendo di conseguenza l’impatto della propria presenza osservatrice su ciò che è oggetto di ripresa – minimizzare, insomma, gli effetti cinematografici del principio di indeterminazione. Ciò che sa ogni buon cineasta che si dedichi al cosiddetto “cinema del reale”, che in Italia nel XXI secolo vede cimentarsi con passione ormai diverse generazioni di cineasti, con risultati spesso assai intriganti, come in questo caso.
Il soggetto del film è notevole; ciò che colpisce è la capacità di sostenerlo per l’intera durata del lungometraggio. Nessuna sequenza è di troppo: si percepisce, anzi, il lavoro di sottrazione. Si giunge gradualmente alla scelta finale del bambino circa il suo futuro, apprezzandone le fasi di maturazione.
Il film si apre con una serie di quadri dedicati alle capre, il cui allevamento è fonte di sostentamento locale e unico futuro a cui Kristos sembra destinato, qualora rimanesse sull’isola. Subito, nel terzo quadro dedicato alle capre, vediamo il muso di una capra racchiuso entro i limiti di una stretta finestra che si apre in un muro a secco. Forse è solo una suggestione, ma sembra che anche quella capra soffra gli angusti limiti cui è costretto Kristos. Il correlativo oggettivo, del resto, è una figura cui il montaggio del film pare ricorrere spesso, come nelle inquadrature sul mare e sui suoi orizzonti, su cui si stagliano profili di altre isole prossime ad Arki, eppure rese distanti proprio dal mare che talvolta Kristos scruta silenzioso - in compagnia di qualche capra onnipresente.
Colpisce la presenza minima delle figure genitoriali, laddove è invece massiccia la presenza della maestra di Kristos, Maria. Ci si domanda quanto sia spontanea, Maria, nella consapevolezza del proprio ruolo e della sua importanza per la vita di Kristos. La regista ci pare esser riuscita, anche in questo caso, a ridurre al minimo l’impatto della propria presenza, lasciando libera Maria di agire di fronte alla macchina da presa, e farcela apparire quanto più possibile spontanea. La maestra, anche laddove si esprime in modo consapevole e teorico, appare perfetta nel suo ruolo di sprone. È lei a sostenere da sola la responsabilità di incitare Kristos a proseguire l’istruzione, e, per farlo, propone concrete occasioni di stimolo. Tutto quello che insegna a Kristos, comprese le videolezioni di inglese, è un’occasione per trascendere gli angusti confini di Arki e superarne gli orizzonti. Far scoprire al ragazzo che il mondo è ben più ampio e affascinante.
La gita alle medie di Lipsi ha il sapore di una rivelazione. Colpiscono persino gli abiti “moderni” dei professori e dei ragazzi, le magliette con frasi in inglese indossate con normalità (il nostro stesso stupore è segno che la regista ci ha ben abituati a essere immersi in un contesto tagliato fuori dal resto del mondo). Persino una domanda come "Cosa fai nel tempo libero?", posta a Kristos, appare inusuale. E infine, durante quella stessa gita, i bagni al mare possiedono un gusto quasi “kechichiano”, dove Kristos può scoprire come una novità i corpi dei coetanei.
Alla cerimonia del diploma di Kristos, i pochi abitanti dell'isola lo scrutano, solo vagamente consapevoli del proprio essere delimitati. Le loro esistenze si esauriscono entro quei confini angusti; quella di un ragazzo di dieci anni ha potenzialità di cui a fatica intuiscono il sapore.
Il film stimola anche una riflessione sull'istruzione e sul suo rapporto dialettico con la tradizione e il progresso. Se speriamo che Kristos prosegua gli studi altrove, ci chiediamo anche se la sua vicenda non sia una parabola sulla globalizzazione, qualcosa di più problematico e complesso di quel che sembrerebbe a prima vista. Si tratta però soltanto di un’implicazione, in un film la cui sfida è anzitutto penetrare lo sguardo malinconico e riflessivo di Kristos, penetrare oltre la superficie del suo volto (dove si ferma ciò che è dato poterci mostrare) per riuscire a dirci, tramite i suoi occhi, tutto il peso interiore del bivio di fronte a cui è posto, così giovane.
cast:
Kristos Kabosos, Maria Tsialiera
regia:
Giulia Amati
durata:
90'
produzione:
Blink Blink Prod, Les Films de l'oeil sauvage, Bad Crowd
sceneggiatura:
Giulia Amati
fotografia:
Carlos Munoz
montaggio:
Evgenia Papageorgiou
musiche:
Angelo Capozzi