Dopo l'anteprima virtuale al Sundance Film Festival, "Klondike" di Maryna Er Gorbach è stato presentato alla Berlinale il 14 febbraio 2022, unico film ucraino della selezione ufficiale. Quello stesso giorno, i titoli delle prime pagine dei più diffusi quotidiani italiani erano dedicati all’Ucraina: "Biden e la UE, altolà a Putin" (Il Corriere della Sera); "Corsa ad armare Kiev" (La Repubblica); "Ucraina, ultime prove di dialogo" (La Stampa). Dieci giorni dopo, l'esercito russo ha invaso le regioni orientali dell’Ucraina; se per noi la guerra è iniziata quel giorno, per gli ucraini era già in corso dal 2014, dopo l'annessione della Crimea da parte della Russia e l'inizio dello scontro armato nel Donbas tra l'esercito e i separatisti filo-russi. La guerra del Donbas è stata raccontata in vari film di finzione e documentari che in Italia, a causa dello scarso interesse per l’argomento, non sono stati distribuiti se non in occasione di proiezioni speciali; "Klondike", ambientato proprio nel 2014, ha un destino diverso perché, nel frattempo, l’inasprimento del conflitto ha interessato anche i paesi occidentali. Prima c'è stata la visibilità offerta da vari festival italiani: la Festa del Cinema di Roma gli ha concesso la vetrina della sezione "Best of 2022" (la stessa dei film premiati a Cannes), il Linea d’Ombra Festival lo ha scelto come film d’apertura, il Trieste Film Festival lo ha proposto all’interno del focus dedicato alle registe ucraine contemporanee. Infine, con tempismo commerciale tutt’altro che criticabile, Invisible Carpet ha deciso di distribuirlo nelle sale sfruttando l’anniversario dell’invasione russa, iniziata nella mattina del 24 febbraio 2022.
La data che segna l’inizio del film è però antecedente: 17 luglio 2014, giorno dell’abbattimento del volo MH17 colpito per errore da un missile lanciato dai separatisti mentre sorvolava l’Ucraina orientale, causando la morte di 298 persone. La consueta avvertenza sul film ispirato a eventi reali, il primo dei quali è proprio la tragedia dell'aereo della Malaysia Airlines, è seguita da tre misteriosi puntini di sospensione: i personaggi sono inventati e la trama è un'elaborazione artistica, ma basata sulle testimonianze dei civili che vivono nel Donbas, rimasti anonimi per la loro incolumità. I titoli sullo schermo ricordano anche che l'evento accadde nei pressi del villaggio di Hrabove: che la regista abbia scelto la traslitterazione dall'ucraino anziché dal russo (Gravobo), come pure di scrivere Donbas all'ucraina, con una sola esse finale, è un esplicito indizio di quale delle due parti in causa senta più vicina. A essere travolti dall'evento di cronaca sono i personaggi fittizi di Tolik e della moglie incinta Irka, una coppia che vive nei pressi di Hrabove: la loro casa di campagna viene colpita dai detriti dell'aereo, un muro viene distrutto eppure restano miracolosamente illesi. Soltanto sul finire del film si capisce che la sequenza appena precedente che aveva aperto il film, un dialogo a schermo nero, è cronologicamente successiva: lo stesso dialogo, collocato nella parte finale della pellicola, svelerà l'inganno della finta sequenzialità. La coppia infatti discute già di come coprire il buco causato dall'incidente: Irka pensa a una grande finestra, citando come aspirazione (estetica e ideale) le architetture all'europea perché probabilmente immagina una finestra a bovindo in stile nordeuropeo; marito e moglie scambiano alcune frasi che solo in seguito capiremo essere riferite alla gravidanza di lei. È un dialogo rivolto al futuro in cui parlano di ricostruzione e di natalità ma, finché ne parlano, lo schermo resta nero: c'è un certo pudore nel non fornire alcuna tenera illusione, già sapendo che nel futuro degli abitanti del Donbas ci saranno anni di guerra ininterrotta. Quando dal buio emergono le prime immagini, capiamo che Irka è incinta e la coppia discute se andare via: Tolik, preoccupato per le condizioni della moglie, è intenzionato a portarla in ospedale lontano dalla zona di guerra. È la loro fortuna, perché avviandosi verso l'uscita si distanziano dal muro che verrà distrutto. La devastazione irrompe sullo schermo e impedisce loro definitivamente ogni velleità di fuga.
Senza un mezzo di trasporto, senza un lasciapassare, non possono partire e la tensione esplode. Irka è tendenzialmente filo-ucraina ma non vuole scappare, anche suo fratello Yarik odia i russi e li vuole combattere; Tolik invece è un pavido che aiuta i filo-russi per non avere problemi, più che per convinzione. Ha capito che c’è poco da fare gli eroi se non si è spinti da un cieco idealismo e soprattutto se bisogna proteggere la famiglia da "salvatori" senza scrupoli. Come se non bastassero le ostilità all’esterno, anche in famiglia le discussioni animate sono all’ordine del giorno: abitare nella stessa casa, condividere lo sesso sangue, non basta a evitare i diverbi perché la guerra spinge a sviluppare visioni del mondo divergenti. Con crudele ironia, possiamo notare come ottengano un posto in prima fila per osservare, letteralmente dal salotto di casa, lo sviluppo della guerra che il muro crollato non nasconde più allo sguardo. Sognano una casa all'europea, invece vivono in una casa "alla Donbas": chiunque può avvicinarsi, esaminare quanto si trova all'interno senza neppure bisogno di una perquisizione approfondita, prenderne possesso con la forza delle armi usandola come avamposto di campagna; da dentro, i proprietari non possono fare altro che scrutare l'orizzonte di una guerra sempre più vicina e pericolosa, costretti all'immobilità e impossibilitati alla fuga. La casa ha un'attrazione gravitazionale fortissima per i protagonisti: possono uscirne (senza neppure il vincolo di dover oltrepassare una porta) e provare ad allontanarsene, ma infine vengono sempre ricacciati indietro. Il focolare domestico è zona di guerra: la regista, quando ne filma gli interni, ruota lentamente la macchina da presa come se stesse facendo una perlustrazione, mentre quando rivolge lo sguardo all'esterno, verso le campagne interrotte solo da poche strade, lo fa quasi sempre in profondità, come fosse di vedetta.
Più che sullo sviluppo di un conflitto ancora nelle incerte fasi iniziali, l'interesse narrativo risiede nella tensione dell'attesa, di qualche soldato o qualche bomba o qualche nuovo guaio; l'attesa di una nuova vita, quando però il rischio di morire è concreto e sono necessari odiosi compromessi per evitarlo. I presagi del parto poi sono tutti nefasti: una carrozzina distrutta, la breve visita di due genitori neerlandesi alla ricerca di tracce della figlia dispersa nell’incidente aereo. Più passano i giorni, più aumentano i problemi fisici di Irka, che avrebbe bisogno di un'assistenza medica introvabile nelle zone occupate dai filo-russi. Come da maledizione biblica, sembra destinata a partorire con grande dolore (anche se Erri De Luca ha sostenuto che si tratti di una traduzione dall'ebraico volutamente forzata, perché Dio non punisce la donna; si limita a constatarne lo sforzo dell’atto del parto). Tuttavia, la colpa di tanta sofferenza è dei maschi, come in quasi tutte le guerre. L'ambiente domestico in cui Irka rischia di vedersi costretta a partorire, con quello squarcio al posto del muro, può ricordare la discutibile rappresentazione simbolica freudiana della donna nei sogni (una stanza, con porte e finestre a rappresentare gli orifizi): il varco primario verso l'esterno appare come una lacerazione profonda che si affaccia su un nuovo mondo di paura. Impossibile mostrare con fiducioso ottimismo l'origine di una nuova vita che rischierà di non avere mai una vera casa, una vera patria, una vera identità.
cast:
Oksana Cherkashyna, Serhii Shadrin, Oleh Shcherbyna, Oleh Shevchuk
regia:
Maryna Er Gorbach
titolo originale:
Klondaik
distribuzione:
Invisible Carpet
durata:
100'
produzione:
Maryna Er Gorbach, Mehmet Bahadir Er, Sviatoslav Bulakovski
sceneggiatura:
Maryna Er Gorbach
fotografia:
Sviatoslav Bulakovski
montaggio:
Maryna Er Gorbach
costumi:
Viktoriia Filipova
musiche:
Zviad Mgebry