Di film biografici ne abbiamo visti a bizzeffe e di tutti i tipi, anche biopic che ridefiniscono (o annientano) le coordinate del genere come il poetico “
I’m not there” o il monumentale “
Nemico pubblico” di Mann (per non parlare dei vent’anni fotografati da Assayas nel tumultuoso “
Carlos”). Tutti i grandi film per smarcarsi dai soliti cliché devono inventarsi qualcosa: ritagliare una porzione di tempo, demistificare i fatti, anche perché la sin troppo usuale struttura a parabola ascendente-discendente, tipica delle biografie delle star, è trita ritrita. Nick Hamm, partendo dal romanzo semi-autobiografico “I Was Bono's Doppelgänger”, narra la vicenda dei due fratelli McCormick, col pallino di diventare stelle della musica. Una vicenda misconosciuta ai più, nota probabilmente ai musicofili incalliti e ai fans degli
U2…
Infatti Neil e Ivan McCormick erano compagni di scuola di Larry Muller, Adam Clayton, David Howell Evan e Paul David Hewson… gli ultimi due sono oggi noti come The Edge e Bono. Il 20 settembre 1976 l’allora quindicenne Mullen affigge sulla bacheca scolastica un annuncio col fine di trovare altri coetanei appassionati di musica e formare una band. Neil decide che avrebbe creato un gruppo di cui sarebbe stato il leader, e da quel giorno – vediamo nel film – il ragazzo inizia una competizione a distanza col suo amico Paul David, sfidandolo su quale delle due band diverrà celebre nel mondo. Il film di Nick Hamm racconta quindi le peripezie di un perdente nato, che nella sua ottusa ricerca del successo non si cura degli altri e riesce in maniera assai mirabile a lasciarsi sfuggire tutte le occasioni importanti che gli capitano da vicino e impelagarsi in gossi guai (es. esilarante: rifiuta l’invito di Bono di aprire i concerti degli U2, però prende finanziamenti da un gangster di Dublino). A questa naturale propensione si aggiunge il tentativo di estinguere il senso di colpa per aver negato a suo fratello Ivan la possibilità di far parte degli U2.
Se nei confronti del maggiore dei McCormick non v’è alcuna auto-indulgenza e le sue disgrazie suscitano la risata e la compassione dello spettatore; di contro Bono è visto, attraverso gli occhi di Neil, come una sorta di messia, gentile e altruista.
Pulito e lineare nel montaggio e con una regia al servizio della storia, lo sviluppo della narrazione si assesta presto su un ripetitivo schema nel quale i McCormick, dopo ogni spiraglio di luce, finiscono per ricadere ancora più in basso, cominciando anche a logorare il loro ferreo rapporto di fratelli. Divertente ballata sui sogni infranti e irralizzati, il film inizia con le immagini di un Neil disperato e allucinato che, pistola in mano, sembra deciso a voler sparare a Bono, per poi tornare indietro con la memoria a quel venti settembre del 1976, vero e proprio punto di partenza dell’insana invidia del ragazzo: l'ormai trita narrazione si ricompone nella penultima parte e fornisce il rocambolesco epilogo, quando Neil, messo alle strette da Machin, capirà che la sua strada sarà quella del giornalismo musicale.
“Killing Bono” poggia molto su due fattori: il brio degli attori e la colonna sonora d’epoca. Il cast è condotto da Ben Barnes e l’astro nascente Robert Sheehan (divenuto celebre grazie al personaggio di Nathan in “Misfits”), coadiuvati dalle apparizioni di ottimi caratteristi, come il gangster Danny Machin interpretato da Stanley Townsend (che sembra uscito da un film di Guy Ritchie), l’agente schizzato Hammond (Peter Serafinowicz) e il fotografo gay in pensione di Pete Postlewhite, qui alla sua ultima apparizione prima della morte. Nella soundtrack, a parte i pezzi degli U2 che erano d’obbligo, si attraversa poco più di un decennio anche per mezzo delle trasformazioni musicali delle band scalcagnate dei fratelli McCormick, i quali passano dagli attacchi punk all’hardcore, alle sonorità più
dark della
new wave, emulando anche i loro acerrimi nemici. E le performance che vediamo nel film, come accadeva anche in “
The Runaways”, sono proprio di Barnes e Sheehan.
12/08/2011