Dal seguito non richiesto della
graphic novel "Kick Ass" firmata Mark Millar e John Romita Jr, ecco il sequel non richiesto della
pellicola diretta tre anni orsono dall'inglese Matthew Vaughn. Difficile aggiungere qualcosa di nuovo a quanto fatto in precedenza, e se già il duo Millar/Romita arrancava tra le pagine del fumetto, il sequel, stavolta diretto (e scritto) dal modesto Jeff Wadlow (suoi i perdibili "Never Back Down" e "Nickname: Enigmista") risulta fallimentare su tutti i fronti.
Diciamocelo, non che il capostipite di Vaughn fosse questo gran Capolavoro, ma riusciva se non altro a far sua una riflessione attuale e in seguito più volte imitata, sulla passività nei confronti della violenza e sulla fruizione del "reale" da parte della
youtube generation. Il primo "
Kick Ass" convinceva nella rappresentazione, ironica e disincantata, di un protagonista apatico e irrimediabilmente
loser che desiderava disperatamente essere qualcuno, al punto da smarrire la propria identità dentro una buffa calzamaglia. Nulla di tutto questo è presente nel sequel di Wadlow: la vita pare essersi congelata tre anni prima per i personaggi. Dave-Kick Ass sceglie di combattere il "male" perché si annoia, Mindy-Hit Girl ammazza i cattivi perché è l'unica cosa che sa fare bene, Chris D'Amico/Red Mist/The Motherfucker vuole vendicare la morte del padre gangster facendo soffrire Kick Ass e i suoi amici ecc ecc. Difficile prendere sul serio le motivazioni e le rozze evoluzioni psicologiche di una sceneggiatura che vorrebbe mascherarsi dietro una patina di "realismo" urbano. In "Kick Ass 2" tutto scema pericolosamente verso la farsa e la commedia di grana grossa. La violenza non è catartica ma è messa in scena come in un cartoon; non fa più nessun effetto vedere arti mozzati o una ragazzina di quindici anni spezzare il collo a energumeni alti il doppio di lei, siamo già assuefatti alla formula da rischiare lo sbadiglio. Mentre il film procede ad un grado zero della narrazione, l'unica scelta sensata di Wadlow pare essere quella di rappresentare i vigilantes mascherati (sia quelli malvagi che quelli "buoni") come dei folli invasati, incapaci di trovare un proprio posto nella società (il team di supereroi in costume, stile "
Watchmen", messo assieme dal colonnello Stars & Stripes-Jim Carrey pare una scombicherrata setta religiosa), ma è un'idea contraddetta di continuo, che incappa in ambiguità francamente inaccettabili.
Così, i giovani protagonisti si trovano improvvisamente, e sin troppo spensieratamente, senza padri o punti di riferimento, lasciati in balia degli eventi, preda di decisioni morali affrettate e discutibili, per cui la violenza chiama altra violenza (il vendicativo
showdown finale), e dove l'unica alternativa sensata ad un'esistenza borghese (quella rifiutata da Mindy contrapposta alle sue temibili coetanee liceali) pare essere una vita costellata di pericoli, sangue e omicidi. Se tutto questo fosse messo in scena con un piglio maturo, cinico, ironico, staremmo parlando di uno dei più grandi film sulla destrutturazione del mito del supereroe contemporaneo, ma aimé non è affatto così, e il tono di fondo resta sempre pericolosamente serioso e fascistoide.
Probabilmente i fan del predecessore non ci faranno caso e gradiranno comunque, travolti da un ritmo che da poco spazio alle riflessioni, da un umorismo che non rinuncia ai colpi bassi (memorabile una vomitata collettiva tra Monty Python e "Stand By Me"), da un cast che si piega volentieri ai deliri della sceneggiatura (a dirla tutta Jim Carrey è sprecatissimo in un ruolo davvero marginale, e l'unica a lasciare il segno è la scatenata Chloe Grace Moretz) e da una colonna sonora energica e martellante (tra gli altri,
The Bees,
Danko Jones,
Glasvegas,
The Go! Team, Hanni El Khatib ecc), ma lo scarto tra questo sequel e la pellicola precedente di Matthew Vaughn ci pare davvero abissale.