Solo negli ultimi tempi, quando l'uscita italiana man mano si avvicinava, abbiamo scoperto quanto i tragici fatti di "Katyn" siano ancora oggi avvenimenti non di utilizzo collettivo, esclusi ancora dal patrimonio di quel sapere comune che sostanzia e struttura la coscienza civile pubblica e sociale.
Indugeremo dunque qualche istante in una breve e sommaria ricapitolazione del contesto in cui il film si muove.
Il settembre del 1939 vede aprirsi le ostilità del secondo conflitto mondiale con l'invasione nazista della Polonia. Se questo aspetto della storia contemporanea è abbastanza noto, meno conosciuto è il fatto che non furono solamente i tedeschi ad aprire le ostilità. Contemporaneamente, anche i bolscevichi calarono in Polonia, dando via a quella spartizione del suolo polacco decretata nel patto Molotov-Ribbentrop, che strinse il territorio nella morsa di due eserciti, come testimonia didascalicamente ma efficacemente la sequenza iniziale del film.
L'esercito polacco, stremato per l'effimera quanto eroica opposizione alle armate naziste, si arrese ai bolscevichi. Circa 20.000 ufficiali furono prima rinchiusi, poi eliminati alla chetichella e sepolti in gigantesche fosse comuni.
Nel 1945 l'epilogo della guerra sancì il beffardo ritorno degli assassini sul suolo polacco. La propaganda martellante cercò di imputare la colpa del massacro agli invasori nazisti, e se al di là della cortina di ferro in parte ci riuscì, in Polonia tutti sapevano la verità...
Un film corale quello strutturato da Wajda, che omaggia la propria terra e i propri affetti (la pellicola è dedicata ai genitori) in un'opera dall'alto afflato evocativo, che l'ha portata a guadagnarsi un posto quale candidato a miglior film straniero agli Oscar 2009.
Il regista si muove manipolando il tempo e lo spazio, segmentando e mescolando senza soluzione di continuità i vari momenti e le varie dimensioni, pubbliche e private, che ruotarono intorno ad una vicenda così sofferente e drammatica.
Lo spazio temporale svaria così dal settembre del 39 fino al secondo dopoguerra, creando un intreccio di storie e di vicende affatto banale.
Strutturato in tre grandi momenti narrativi, il film parte benino, raccontando la strage dal punto di vista di coloro che non sapevano, che aspettavano invano il ritorno dei propri cari ai quali mandavano lettere piene di speranza e dai quali ne ricevevano altre marchiate dalla censura, fino all'improvvisa cessazione di qualunque comunicazione.
La struttura traballa pesantemente nella seconda parte del suo sviluppo, ambientato in un dopoguerra nel quale avere padroni sovietici rendeva assai complicata una rielaborazione del lutto che fosse appagante, e si perde nei meandri della descrizione psicologica, faticando non poco nella gestione dei personaggi.
La terza riscatta complessivamente l'opera, regalando allo spettatore un momento di altissimo cinema nel racconto straziante della gelida esecuzione di ventimila mariti e padri polacchi, articolata con solidità ed urgenza, e con un'eleganza che rifugge qualsiasi tipo di
voyeurismo.
Il silenzio con il quale si conclude la pellicola è più eloquente di qualsiasi possibile enfatizzazione extra-diegetica. Wajda costruisce dunque un film imperfetto e a tratti ridondante, ma riesce a centrare il bersaglio grazie ad un colpo di coda finale che, da solo, vale il prezzo del biglietto.
31/01/2009