Nel week end della festa della donna, gli impareggiabili distributori italiani hanno ben pensato di concentrare in un sol colpo nelle nostre sale cinematografiche il massimo della settima arte declinata al femminile. Non solo attraverso commedie italiane più o meno divertenti, ma anche con pellicole internazionali che, in potenza, ambirebbero a ben più elevate ambizioni. È il caso del film girato Oltreoceano da Rachid Bouchareb, il francese di origini algerine da sempre ossessionato dal tema dello sradicamento dalla propria terra, dalla propria cultura e dalla ricerca di una possibile convivenza tra uomini e donne diversi e lontani per provenienza, fede religiosa ed esperienze di vita.
Un autore cinematografico che percorre il suo sentiero artistico con delle ferme convinzioni, analizzando temi e aspetti del mondo di volta in volta da punti di osservazione differenti, è sempre meritevole di stima e di encomio. A volte, però, capita che qualcuno di questi registi non riesca quasi mai a dare alle proprie opere quell'impronta decisiva che permetta alla pellicola di essere ricordata negli anni a venire. Bouchareb, da sempre attento all'assunto di partenza, commette spesso l'errore di trascurare la coerenza narrativa del racconto, abbassa spesso l'asticella del ritmo sotto la soglia del minimo sindacale, mette in scena esseri umani e ambientazioni con troppa freddezza. Questo suo manifesto dell'orgoglio femminile, ad esempio, conferma i suoi difetti strutturali. Pensato fin troppo chiaramente come una riedizione della fuga dalla vita ordinaria di Thelma e Louise, anche Marilyn e Mona scappano da Chicago da due situazioni familiari non più sostenibili. Ma, a differenza delle due eroine del magnifico film di Ridley Scott, le due protagoniste di "Just Like a Woman" hanno una meta ben precisa: vanno verso Santa Fe, dove un concorso per danza del ventre potrebbe cambiare le sorti del loro destino.
Il regista francese tallona il peregrinare delle due donne attraverso il mutare dei paesaggi degli Stati americani, cercando di sottolineare soprattutto la diversità fisiologica fra loro. Da una parte la bionda, molto occidentale e apparentemente emancipata Sienna Miller (mai così sfiorita), dall'altra Golshifteh Farahani, musulmana e oppressa non tanto da un marito che ama quanto da una suocera che continua a trattarla come un oggetto utile solo per dare al figlio un erede. La danza del ventre, infine, che da meta diventa anche mezzo di sostentamento per le protagoniste, è il simbolo di tutta la storia: sono gli stessi uomini che vessano le loro donne, che le considerano "da niente", a perdere la testa per questi corpi seducenti impegnati in un ballo così sensuale. E, senza volerlo, pagandole per ripetere un rito uguale a se stesso, continuano a favorire la loro fuga dal mondo. Concentrato com'è a fare centro con il suo ragionamento "a tema", il regista perde cammin facendo l'occasione per dare all'opera una compiutezza definita. Ad esempio, negli spostamenti delle protagoniste, sono tanti i momenti di stanca che confinano con la vera e propria noia. Senza considerare che, per aver ambientato la pellicola in America, avrebbe meritato maggior attenzione proprio il ritratto di un'umanità "indigena" che in realtà è solo accennato in superficie.
Purtroppo, la simbologia di Bouchareb è troppo elementare, l'accostamento dei due caratteri così diversi, che dovrebbe sottintendere l'idea che la condizione della donna è sventurata a qualsiasi latitudine, è schematica. L'idea di fondo per mettere in scena un road movie potenzialmente affascinante langue nel mezzo di uno script concentrato esclusivamente sull'esplicitare il più possibile una morale che, per quanto preziosa e meritoria, risulta alla fine convenzionale ed evanescente.
cast:
Sienna Miller, Golshifteh Farahani, Bahar Soomekh, Tim Guinee, Roschdy Zem
regia:
Rachid Bouchareb
distribuzione:
Minerva Pictures Group
durata:
84'
produzione:
Taghit llc, The Doha Film Institute, Cohen Media Group, 3B Productions, The 7th Floor, Arte, The Bur
sceneggiatura:
Joelle Touma, Marion Doussot
fotografia:
Christophe Beaucarne
scenografie:
Patrick McGee
montaggio:
Matt Garner
costumi:
Mahemitie Deregnaucurt
musiche:
Éric Neveux