Che cosa potrà mai mancare all'uomo che può tutto? La soddisfazione. Il sapore del compiacimento. La realizzazione dell'umiltà. Steve Jobs è stato uno degli uomini più importanti degli ultimi cinquant'anni. Ha contribuito a creare e impossessarci di un mondo di cose e oggetti, a interfacciarsi in modo completamente diverso con la conoscenza stessa, persino con la realtà. E, soprattutto, è il padre di una delle aziende più importanti del pianeta. La sua morte è stata un evento sociale e mediatico di portata ipertrofica - o ipertrofizzata. Il messaggio evangelico fondamentale della sua esistenza hanno eroso in modo smaccatamente strumentale i nostri concetti di genio, successo e anticonformismo.
Steve Jobs non è stato un uomo, è stato un evento storico romanzato. E gli eventi storici romanzati nutrono il cinema, almeno da Griffith in poi.
jOBS è un film nato poche settimane dopo la morte del suo oggetto - Steve Jobs ovviamente -, e di cui si sono riempite la bocca le terze pagine per qualche mese, in attesa del nuovo smartphone con la mela morsicata o di un nuovo capitolo della lotta contro i competitor. Rispetto ai film che l'hanno ispirato ("The Social Network" di Fincher su tutti), è una pellicola indulgente e patinata, che mastica le asperità e i travagli di una mente brillante, le accentra e individualizza, e le trasforma in una standing ovation di quasi 130 minuti. Nessuna pretesa o tentativo di oggettività, com'è onesto, ma siamo dalle parti del tributo, anche più che della "romanza".
Il percorso di "jOBS" passa attraverso gli anni 70 della conoscenza del sé e delle esperienze con l'lsd; attraverso gli 80, con la nascita della Apple e dei suoi primi esemplari, e all'estromissione del suo impero; fino agli anni 90, con la resurrezione di una leggenda. Un viaggio smussato, ammiccante e quasi morboso, che gioca a scovarne il dramma (il rifiuto della figlia, l'egocentrismo quasi psicotico e la sociopatia) e poi assolversene attraverso gesti ribelli e frasi slogan. Ashton Kutcher si cala nel personaggio in maniera sorprendente, forte di una somiglianza fisica amplificata dalla microrecitazione e da un camaleontismo insospettabili per un attore del suo calibro. Ma anche qui, la performance è strumentale all'adorazione di una sorta di idolo dell'ingegno umano, di un eroe che vuole restituire i sogni agli uomini attraverso una scatola emancipata.
Il grande schermo non ha pietà per un ritratto così artificioso: "jOBS" è un film ben confezionato e recitato, senza inciampi e inconsistenze, ma quasi macchiettistico nella sua glorificazione aproblematica e redentrice - le punteggiature fatte di vere e proprie standing ovation ad ogni nuova innovazione, per esempio. Ancor più decerebrato, "jOBS" sembra congegnato per amplificare e rafforzare convenzioni premasticate sul personaggio, appiattendolo alle sue stravaganze e alle tappe fondamentale della sua carriera di creatore-imprenditore. A fare bene i conti, "jOBS" non è un film su Steve Jobs, ma sulla sua personale trasformazione in un trademark.
cast:
James Woods, J.K. Simmons, Matthew Modine, Lukas Haas, Josh Gad, Dermot Mulroney, Ashton Kutcher
regia:
Joshua Michael Stern
titolo originale:
jOBS
distribuzione:
M2 Pictures
durata:
128'
produzione:
Open Road Films, Five Star Institute
sceneggiatura:
Matt Whiteley
fotografia:
Russell Carpenter
scenografie:
Bruce Robert Hill
montaggio:
Robert Komatsu
costumi:
Lisa Jensen
musiche:
John Debney