Alla proiezione per il pubblico in anteprima mondiale di "Bullet to the Head", gli applausi che gli spettatori del Festival di Roma hanno tributato a Walter Hill hanno quasi eguagliato il boato riservato a Sylvester Stallone, forse il divo "più divo" di tutti fra quelli sfilati all'Auditorium in questa edizione 2012 della rassegna capitolina. Lo stesso cineasta americano, per la verità, è sembrato quasi imbarazzato da tale calorosa accoglienza. In realtà, è un riconoscimento dovuto a uno dei più degni rappresentanti di quell'incrocio fra cinema d'impegno e cinema "d'evasione" che ha fatto la fortuna di Hollywood nel decennio degli anni 80.
Hill torna alla regia dopo un decennio con una pellicola solida come i muscoli del suo protagonista, un lavoro su commissione, certo, ma grazie al quale chi lo ha sempre ammirato può nuovamente trovare quell'inconfondibile stile nella messa in scena e nella narrazione elementare che ha sempre caratterizzato il tocco del regista californiano. Alessandro Camon, sceneggiatore italiano trapiantato Oltreoceano, ha adattato una graphic novel incollandola sulle spalle di Stallone. Una virile storia di vendetta a cavallo tra il mondo della criminalità di New Orleans e quello di una polizia corrotta fino ai suoi vertici. In questa operazione, Hill si inserisce in un secondo momento, chiamato proprio dal protagonista. Ed è forse grazie a lui che un action movie altrimenti fin troppo banale e già visto migliaia di volte si trasforma in un divertente aggiornamento dello stereotipo del confronto-scontro fra due caratteri.
Vedere il poliziotto che arriva da Washington di origine coreana, aggiornamento etnico del Reggie Hammond di colore di "48 ore", duettare con il mercenario dal cuore buono interpretato dall'ormai 66enne divo di "Rocky", fa inevitabilmente tornare alla mente gli scambi al fulmicotone tra Eddie Murphy e Nick Nolte proprio ai tempi di "48 ore", esempio lampante di quel cinema di genere che, tra una battuta fulminante e l'altra, tra un sorriso strappato e un'esplosione improvvisa, non rinunciava all'idea di affiancare "tipi" umani contrapposti per tentare la missione impossibile di farli convivere. In questo potremmo rimproverare a Hill di essere rimasto legato al passato: l'antieroe che si fa giustizia da solo è, oltre che fuori moda, anche improponibile al giorno d'oggi. E la scia di morti ammazzati che Jimmy Bobo si lascia alle spalle è fin troppo lunga per non suscitare alcuni interrogativi sotto il profilo della coerenza del racconto.
Ma Camon, che deve essere cresciuto evidentemente nel mito di quel filone "macho" ma brillante di cui Hill era un brillante realizzatore, si preoccupa nella scrittura più dell'aspetto "verboso" che di quello dinamico. Il punto di forza del film sono infatti i dialoghi, a metà fra ficcanti e brillanti scambi veloci e l'immancabile battuta "da applausi" che chiama il boato della platea. Per le scene d'azione e il dipanarsi della storia fino all'immancabile finale da tradizione, ci pensa appunto Hill, con il suo gusto per lo scontro fisico, le sparatorie roboanti e un virtuosismo mai fine a se stesso aggiornato alle tecniche di ripresa delle pellicole di genere del nuovo millennio.
Il fascino vero di questa operazione sta, insomma, tutta nel suo essere completamente fuori dal tempo: la semplicità della macchina da presa del suo autore, tanto quanto l'immobile ghigno di Stallone, sono catapultati entrambi direttamente da un'altra epoca, con accorgimenti collaterali dovuti alle novità tecnologiche, certo, ma con uno spirito votato a un divertimento artigianale e genuino. Proprio come se fossimo ancora nel 1982.
cast:
Sylvester Stallone, Jason Momoa, Christian Slater, Adewale Akinnuoye-Agbaje, Sarah Shahi
regia:
Walter Hill
distribuzione:
Buena Vista International
durata:
97'
produzione:
Warner Bros., Dark Castle Entertainment, IM Global, After Dark Films
sceneggiatura:
Alessandro Camon, Walter Hill
fotografia:
Lloyd N. Ahern
scenografie:
Toby Corbett
montaggio:
Timothy Alverson
costumi:
Ha Nguyen
musiche:
Steve Mazzaro