Jazis (Karlis Arnolds Avots) vive la Lettonia del 1991, prossima alle prime elezioni democratiche (marzo 1991), filma la brutalità della polizia segreta russa, registra l’esercito sovietico che spara sulla folla, entra nelle città coi carrarmati e tenta di ripristinare il regime comunista nell’ex colonia.
Tarkovskij
De iure la Lettonia è già indipendente nel gennaio ‘91, non de facto, nell’intercapedine, il processo di democratizzazione, liberazione, resistenza, si inserisce la storia di Jazis, il suo sguardo tarkovskijano, dall’inizio - la violenza della Ceka sui giornalisti lettoni, rei di aver divulgato la notizia dell’indipendenza lettone - e dell’inizio – la nascita dello stato, dell’amore, adolescenziale, primissimo, tra Jazis e Anna; cioè, due dei centri deittici di Tarkovskij, la cronaca della violenza e l’eziologia dell’emotività, pensiamo, per esempio, a "Il rullo compressore e il violino". Viesturs Kairiss, il regista, fa spazio anche all’onirico, sempre tarkovskijano, nei balli sotterranei, se la camera simula l’irregolarità del movimento umano, vicina e lontano al soggetto, un elastico visivo che sembra una preghiera estetica; ma la battuta di Jazis, "deve avvicinarsi il più possibile" è un’indicazione politica, più che semiotica. Insomma, Kairiss ha mescolato i piani, e c'è spazio pure per lo spirito cechoviano: l’amico che guarda l’immagine fissa sul paesaggio del corto di Jazis gli domanda perché non succede nulla, insomma "qualcosa deve accadere", la pistola deve sparare - la prima istantanea di una miscela tematica che però altrove fa fatica e frammenta la narrazione. Al contrario, il binomio io-collettività riesce, il personaggio di Jazis è interprete, lettore e autore del contemporaneo lettone; per certi versi, ribalta la causalità sociologica, fa fare all’individuo ciò che farebbe solo in gruppo. Il mezzo filmico non è filtro, non ha valore interpretativo di per sé, ma come strumento storicizzante, nell’impellenza che Jazis asseconda quando vede qualcosa da ricordare. Kairiss crede nel cinema che fa memoria collettiva, ha costruito una pellicola che conosce perché archivia, è così per la storia e per l’amore tra Jazis e Anna.
Solo un sogno
Ritorniamo sull'"avvicinarsi il più possibile", perché "January" è foderato di subordinazione, il detail, il volto, il soggetto è sempre al centro della scena; lo è, in particolare, nelle sequenze in cui l’azione sovrasta la parola, la gestualità esplode, la coreografia è ancestrale, onirica, torna Tarkovskij e l’andamento liturgico delle mani che ripassano i tratti del viso, del corpo, dei capelli, rasati, quando Jazis è arruolato dai sovietici e la crisi identitaria è servita - uno dei pochi momenti in cui – paradosso – il suo sguardo non fissa più il vuoto, la strada sotto i piedi; le musiche hanno una funzione diegetica da non trascurare, accelerano la diacronica della pellicola, la snelliscono, la liturgia diventa ossessiva.
La vocazione alla memoria è reificata al fronte e anch’essa ribaltata, dalla parte dell’aggressore, perché la camera resta democratica, l’occhio no, di nuovo l’io è bivalente, propenso al disincanto, di cui l’amore adolescenziale è il topos per eccellenza, che, infine, investe il film stesso, tout court, "basta Tarkovskij".
"Come si può essere ancora comunisti?"
Come si può essere ancora comunisti dopo ciò è che successo a Vilnius? dicono a Jazis. È la bugia marxista, la sua "comunistizazzione", l’imputata di "January", o meglio, a livello induttivo, può il cinema bloccare l’anaciclosi umana, la ripetibilità dello schema antropologico tra violenza e potere, è il controcampo semantico di una fotografia freddissima, gelida, che ipoteca la stasi, l’avversaria dell’improvvisa militanza di Jazis, il moto interiore che prende il sopravvento, ma non per questo dimentica l’introspezione, insomma spara verso se stesso Kairiss, accoglie - l’immagine fuori dal tempo di Anna, a gambe aperte - ciò di cui si ha prova, se si ha coraggio pure dentro di sé, analogicamente, come la camera di Jazis, cioè per valori intermedi.
cast:
Karlis Arnolds Avots, Alise Dzene, Juhan Ulfsak
regia:
Viesturs Kairišs
titolo originale:
Janvaris
distribuzione:
The Yellow Affair
durata:
100'
produzione:
Latvian Film Fund, Mistrus Media e Staron-Film
sceneggiatura:
Andris Feldmanis, Viesturs Kairišs, Livia Ulman
fotografia:
Wojciech Staroń
Jazis vive la Lettonia del 1991, prossima alle prime elezioni democratiche, filma la brutalità della polizia segreta russa, registra l’esercito sovietico che entra nelle città coi carrarmati e tenta di ripristinare il regime comunista nell’ex colonia.