“Into paradiso” è il primo lungometraggio di Paola Randi, presentato nella sezione Controcampo italiano alla 67° Mostra del Cinema di Venezia e salutato dal pubblico con più di dieci minuti di applausi. Ambientato nella Napoli rumorosa e nascosta di un rione in parte colonizzato da immigrati dello Sri-Lanka, il film espone sotto la forma della commedia la relazione tra un ricercatore universitario licenziato a causa dei tagli e un ex campione di cricket migrato in Italia con l’illusione di poter continuare a sostenere la propria vita di fama e successo. Entrambi i personaggi si trovano dunque ad affrontare una realtà nuova, il primo a cercare un nuovo impiego attraverso la classica raccomandazione all’italiana, il secondo costretto dalle vicissitudini e dalla comunità che lo accoglie a sottostare all’ “umiliazione” di farsi badante di una ricca e lunatica anziana.
Le loro strade s’incrociano grazie ad un politico, il quale, coinvolgendo l’ex ricercatore in una disavventura con la camorra, lo costringe a rifugiarsi proprio nella comunità cingalese, nell’appartamento dell’immigrato.
La storia si svolge su un binario lineare, con pochi colpi di scena, ma con un ritmo cadenzato dalla comicità delle singole situazioni in cui i protagonisti si vengono a trovare: il peso di queste è retto con una grande capacità interpretativa dal protagonista, Gianfelice Imparato, nella parte del ricercatore disoccupato di mezza età impacciato fino al limite della sopportazione, coadiuvato dall’espressività di Peppe Servillo, in un’ottima interpretazione da caratterista (considerato non sia un attore di professione) nella parte del politico corrotto; non proprio indimenticabile invece Saman Anthony, nel ruolo dell’immigrato cingalese, troppo rigido nei movimenti e nella dizione, non riesce fino in fondo a colmare queste lacune con l’espressività del proprio viso.
L’idea di una commedia ambientata nella Napoli multiculturale che coinvolge, seppure in modo stereotipato, alcuni dei soggetti che la compongono (il ricercatore disoccupato e insicuro, il politico corrotto, l’immigrato che s’illude di sbarcare subito il lunario, i camorristi spietati solo in apparenza, l’anziana borghese e lunatica), è ben resa dalla regia di Paola Randi, la quale si prende anche l’originale libertà di alcune scene paradossali che divagano rispetto alla storia rappresentando l’immaginazione del protagonista nei suoi complessi ragionamenti.
Tuttavia il filo intellettuale e umano che lega la storia è molto fragile, ed emerge soltanto nel momento in cui è il protagonista stesso a rivelarlo in modo chiaro, nella scena finale: il suo studio sulla possibilità di una comunicazione tra le cellule sane e quelle “impazzite” è la chiave di lettura per una interpretazione della società, divisa un po' troppo semplicisticamente tra buoni e cattivi.
10/02/2011