Dove nessun reboot è mai stato prima. A quattro anni dal rilancio adrenalinico di "
Star Trek", e a due dalla parentesi nostalgica di "
Super 8", J.J. Abrams torna in sala con "Into Darkness - Star Trek", 'vecchio' capitolo tutto nuovo del franchise sci-fi televisivo più celebre di sempre. Sostituito il camp al cool e i risvolti sociologici all'azione spinta, Abrams alza la posta per tutto il cast protagonista, portandolo a tu per tu con le proprie paure e i propri limiti, in cerca di una redenzione e una completezza personale in piena poetica abramsiana; un viaggio che passa necessariamente, come da titolo, "attraverso l'oscurità".
Un anno dopo gli eventi di "Star Trek", il Capitano Kirk (Chris Pine) è il solito ragazzone sbruffone e arrogantello, opposto al Primo Ufficiale Spock (Zachary Quinto), trincerato sempre di più nella cortina algida e raziocinante del suo assoluto rispetto delle regole. Dopo aver violato il Primo Direttivo in una azzardata e spericolata missione sul selvaggio pianeta Nibiru, Kirk viene sollevato dal comando dell'Enterprise e preso sotto l'ala protettrice del suo vecchio mentore, l'Ammiraglio Pike. Quando questi cade vittima di un terrificante attentato terroristico durante un summit dei maggiori ufficiali della Flotta Stellare, Kirk ed equipaggio vengono inviati a disporre del responsabile, il misterioso agente John Harrison, in possesso di conoscenze e segreti centrali nella corsa agli armamenti nella guerra contro i bellicosi Klingon. Per Kirk è il viaggio della consapevolezza: da un grande potere, grandi responsabilità, specie verso il proprio fedele equipaggio - insomma, imparare l'umiltà di fronte alla sconfitta. Per Spock è la resa dei conti con il proprio lato umano: evitarlo lo sta rendendo sempre più un reietto, anche agli occhi della sua amata Uhura. Per la Federazione tutta, l'occasione per comprendere la vera natura di chi difende la propria pace e giustizia.
Conosciamo bene Abrams, i suoi proverbiali lens flare e le sue scatole del mistero: in "Into Darkness", ce n'è una in bella vista, una sorpresa che premierà fan di lungo corso e neofiti. Ma al di là di questo McGuffin, ancor più rispetto al precedente capitolo, si può realizzare quali siano i veri ingredienti di un'operazione di rilancio che ha avuto un successo trasversale. Non si parla solo del portare quasi al parossismo caratteri e spunti del materiale originale: ricorrono frasi, situazioni ed elementi narrativi che, ripresi da quello che è il percepito comune della saga tv (specie in Usa), de facto legittimano il film di Abrams come eredità di quanto immaginato da Roddenberry. La realtà è un po' diversa: sotto il tappeto trapuntato di simboli della Flotta Stellare, c'è un cuore profondamente abramsiano (riferimenti ai padri putativi Spielberg e Lucas inclusi), sicuramente più vendibile della sci-fi più sfaccettata e lungimirante (ma anche più goffa) dell'originale. Il (melo)"drama" ora è la seconda pelle di Star Trek, e visti gli incassi (e l'efficacia) non si torna indietro.
Quanto avviene per portare a frutto questo drama zoppica: dopo un inizio adrenalinico ma indulgente ed espositivo, lo script procede a compartimenti stagni, giustificando ogni mossa sul frangente emotivo ma dimenticandosi quasi del tutto della coerenza interna e dei reali archi dei personaggi, più sintetici ma comunque meglio definiti del precedessore. Il prezzo che si paga, nell'immediato, è un continuo ricorso al comic relief (più sofisticato quello di Bones/Urban, più slapstick quello di Scotty/Pegg), infine, a un tale annacquamento dei villain (costante tallone d'Achille del Abramsverse) da rendere indispensabile una serie di deus ex machina smaccatissimi. C'è chi li chiamerà omaggi, o persino "dialoghi" con il vecchio Trek. Anche il doloroso, azzeccatissimo riferimento alla Guerra in Iraq e a suoi fattori scatenanti perde aderenza, perchè mancano gli interrogativi morali e uno sviluppo coerente dei personaggi che potrebbero portarla avanti, alla maniera della grande fantascienza.
Se quanto scritto dal trio Orci-Kurtzman-Lindelof puzza di inconsistenza, la stella del film è J.J. Abrams. Suoi il ritmo e la verve della pellicola, suo lo spettacolo pirotecnico e mozzafiato. La sua regia è maturata profondamente, concentrata sul maneggiare finte handheld e mantenersi comunque sontuosa e leggibile - apprezzabile al meglio in 2D. Nell'elettrizzante sequenza d'apertura riesce persino a ribaltare il gioco nostalgico di "Super 8", rendendo omaggio a "I Predatori dell'Arca Perduta" con la propria grammatica incalzante e tratteggiata. Buono anche il lavoro sugli attori, con un Cumberbatch che ruba la scena al comunque buon cast, nonostante un personaggio incompleto nella scrittura e quindi non completamente convincente. Prossima tappa, ancora le stelle. J.J. Abrams si prepara ad affrontare il viaggio per la "Galassia lontana lontana" di Star Wars, questa volta con un team di sceneggiatori completamente rinnovato (Michael Arndt, con l'ombra lunga di Lawrence Kasdan). Riuscirà il "novello Spielberg" a raccogliere anche questa eredità?
12/06/2013