Per analizzare al meglio "L’innamorato, l’arabo e la passeggiatrice" (pessima traduzione italiana dell’originale "Viens, je t'emmène" che da qui in avanti utilizzeremo) non bisogna cadere nell’errore di prendere come modello di riferimento quel "Lo sconosciuto del lago" con cui ormai 10 anni fa il regista Alain Guiraudie si era fatto conoscere a livello internazionale. È utile piuttosto considerare il successivo lungometraggio "Rester vertical" che, dopo la presentazione in Concorso a Cannes 2016, è rimasto inedito e inosservato. In questo modo, possiamo dunque considerare come "Viens" ne riprenda alcuni temi, motivi e un’idea di stile, allargando allo stesso tempo la prospettiva e smussando gli elementi più "estremi" del cinema del cineasta francese. Il risultato è un’opera complessivamente più "accessibile" ma anche più sfaccettata: per chi scrive, la migliore del suo autore.
Si inizia ancora una volta con il girovagare del protagonista, apparentemente casuale, in verità indirizzato a un preciso obiettivo. "Rester" si ambientava prevalentemente in paesaggi montuosi, dove un sceneggiatore privo di idee si imbatteva in una pastorella. In "Viens" tutto si svolge in un contesto urbano, quello della piccola cittadina di Clermont-Ferrand. Qui, mentre corre per tenersi in allenamento, il 35enne Médéric (Jean-Charles Clichet) incontra Isadora (Noémie Lvovsky), una prostituta di mezza età sposata con un uomo geloso e inflessibile. Quando un violento attacco terroristico colpisce la città, l’uomo si ritrova sotto casa il giovane musulmano Selim (Iliès Kadri), che gli chiede rifugio. Questi accetta, ma si arreca le antipatie dei vicini, che credono possa essere lui il terrorista. Allo stesso tempo, nonostante le intimidazioni del marito, non riesce a lasciare perdere Isadora, che finirà per coinvolgere nelle sue vicende insieme a una giovane che lavora nell'hotel in cui era solito trovarsi con la donna.
Se, seguendo la cronaca, siamo abituati ad associare la capitale Parigi agli attacchi terroristici, collocare quest’ultimi in una cittadina meno nota della Francia permette a Guiraudie di offrire uno scorcio inedito sui loro effetti e risonanze a livello sociale e mediatico. La scelta di Clermont non è inoltre casuale: come sottolinea un’inquadratura, lì si trova una statua equestre di Vercingetorige, storico condottiero dei Galli che proprio nelle vicinanze aveva ottenuto una storica vittoria contro i Romani, venendo così identificato dai francesi come il primo grande ribelle della propria Storia. Se contro l’invasore romano il popolo transalpino era rimasto unito (e non è certo un caso che ad un certo punto del film Selim prenda in prestito da Médéric un fumetto di Asterix), quando nella contemporaneità si trova sotto attacco dei jhiadisti si scopre invece frammentato, completamente impreparato ad affrontarli.
Così, in "Viens, je t'emmène" quello che interessa al suo autore è soprattutto compiere una spietata disamina della società di provincia, scardinando, con il grimaldello della sagace ironia, le consolidate polarizzazioni, come "arabo cattivo/ francese buono". La paura dell’attacco terroristico porta allo scoperto odi e rancore malcelati, che riguardano gli autoctoni così come gli stessi musulmani. Nei condomini si rumoreggia e, senza alcun pudore, si espone il proprio malcontento, salvo poi nascondere qualche scheletro nell’armadio. Così come sono anche i giovani musulmani a escludere e etichettare Salim come presunto jhiadista. Alla luce di questo quadro, viene in mente un parallelismo: nel microcosmo della carovana dell’iconico "Ombre rosse" (Ford, 1939) è la prostituta Dallas, etichettata come deprecabile, a rivelarsi portatrice di sani principi, mentre quelli a prima vista integri (il banchiere) si dimostrano immorali. Allo stesso modo, in "Viens" è Isadora ad essere l’unica portatrice di un po’ di saggezza, a cercare di conoscere e capire prima di giudicare. Decide di parlare con Selim chiedendosi come la società possa spingere i giovani a commettere suicidio. Una frase diretta allo spettatore, a cui il regista chiede di rivedere i propri dogmi e disposizioni mentali, spiegando le ragioni del ragazzo.
Guiraudie mette in scena situazioni e atteggiamenti assurdi con una precisione chirurgica, senza mai calcare sull’elemento grottesco di aspetti che lo sono già nella loro verosimiglianza. Ma se è evidente come non perdoni niente a nessuno, lo è altrettanto come in fondo a tutti si rivolga con empatia. Viene dunque in parte meno quello sguardo cinico presente nei suoi titoli precedenti, aspetto ben evidenziato da una costante della sua filmografia: le esplicite scene di sesso. Rimane la tendenza a raffigurare corpi nudi non canonicamente belli e già in là con l’età, ma cambia l’approccio. Ne "Lo sconosciuto del lago" le scene erano mostrate in tempi prolungati e naturalistici, in "Rester Vertical" erano lo strumento per mettere in discussione le aspettative dello spettatore (fredde nella dimensione di coppia, calde in quella del presunto "abuso" di cui veniva accusato il protagonista). In "Viens" diventano passaggi beffardamente imbarazzanti, espressione dell’awkwardness del protagonista. Quasi una presa di posizione autoironica di Guiraudie verso il suo stesso cinema. Interessante poi anche notare l’evoluzione del secondo tema portante del regista: l’omosessualità. Se il microcosmo chiuso del bosco de "Lo sconosciuto" e quello della fabbrica del mediometraggio "Ce vieux reve qui bouge" (2001) permetteva ai personaggi di esplicitare a voce senza problemi le proprie preferenze sessuali, il contesto urbano di "Viens" li porta a preferire nasconderla agli occhi degli altri per evitare il pregiudizio. Solo tra le mura domestiche si può agire indisturbati.
Per quanto riguarda la messa in scena, se prima era per lo più costituita da prolungati piani fissi, "Viens" prosegue la tendenza di "Rester" di un maggior ricorso al montaggio che alterna campi medi e primi piani, conferendo maggiore fluidità alla narrazione. Così, è possibile mettere in scena alcune riuscite dinamiche comiche, come quello ambientato nelle scale del palazzo tra i condomini, in cui la luce si spegne continuamente in modo automatico, lasciandoli più volte al buio.
In conclusione, "Viens, je t'emmène" propone un ampliamento dell’orizzonte del regista, che, all’interno della propria poetica, tratta in modo audace ed efficace un tema, quello del terrorismo, molto sentito in Francia (e al centro di diversi film recenti, come "November "di Cédric Jimenez, uscito quasi in contemporanea nelle sale italiane). E giunge a una conclusione che conferisce un approdo al girovagare del protagonista, all’insegna della fratellanza e di una comunità "alternativa". Che, soprattutto di questi tempi, non può non essere letto anche come un chiaro manifesto politico.
cast:
Jean-Charles Clichet, Noemie Lvovsky, Ilies Kadri, Michel Masiero, Doria Tillier
regia:
Alain Guiraudie
titolo originale:
Viens je t'emmène.
distribuzione:
Satine Film
durata:
100'
produzione:
Charles Gillibert
sceneggiatura:
Alain Guiraudie, Laurent Lunetta
fotografia:
Hélène Louvart
scenografie:
Emmanuelle Duplay
montaggio:
Jean-Christophe Hym
costumi:
Khadija Zeggaï
musiche:
Xavier Boussiron