Attesa, discussa e quasi sempre disprezzata, la versione natalizia del cinema italiano è diventata nel corso del tempo un rituale che ha perso per strada qualsiasi valenza artistica e spettacolare, per diventare un fenomeno di costume indispensabile a tenerne in piedi l'apparato produttivo. Alla stregua del festival di San Remo, e in barba alla crisi dilagante, o forse proprio per quella, il pubblico gli rimane fedele come si farebbe con il barbiere o con il prete confessore, affrontando file interminabili e accalcandosi nelle sale pur di partecipare all'annuale
rendez-vous. Tra vizi e lazzi nel pentolone c'è proprio di tutto, a cominciare dalla caricatura di un quotidiano che funziona come simulacro di luoghi e situazioni tipicamente italiche. Il marketing ci mette del suo lavorando ai fianchi lo spettatore con un processo d'identificazione che si nutre della familiarità di corpi e volti attoriali, utilizzati esclusivamente in funzione dell'immaginario che si portano dietro; e insieme, elaborando una fabula che al suo interno sembra mimare ciò che avviene in sala, con individualità - degli attori e dei loro personaggi - destinate a incontrarsi sullo schermo e dentro le storie. Come accade in "Indovina chi viene a Natale?" il nuovo film di Fausto Brizzi che parafrasando il titolo del celeberrimo e seminale film di Stanley Kramer ("Indovina chi viene a cena?", 1967) e approfittando delle tradizione natalizia si diverte a organizzare una rimpatriata familiare che diventa una scusa per la convivenza forzata di caratteri di segno opposto. A farne le spese è la serenità di Diego, imprenditore illuminato e di successo messo alla prova dalle scelte della figlia Valentina innamoratasi di Francesco, a cui un incidente motociclistico ha reciso entrambi gli arti. Novità che si somma a quella di Chiara, decisa a tentare l'ennesima relazione con un compagno maldestro che ne combina di tutti i colori, mettendo alla prova la pazienza del padrone di casa, e di Antonio, il fratellastro impegnato a realizzare una fiction sul padre, musicista di fama appena scomparso, per il quale è necessario ottenere l'autorizzazione scritta degli altri fratelli. Una sarabanda di equivoci, contrattempi e anche ipocrisie destinate a una catarsi che ovviamente farà scoprire a ciascuno l'importanza e il valore degli altri partecipanti.
Frustrato dal flop delle sue opere più ambiziose ("Com'è bello far l'amore", 2012 e "
Pazze di me", 2013) Fausto Brizzi torna all'antico con un film che pur sotto mentite spoglie ricalca il format di quel cinepanettone che in parte aveva contribuito a consolidare con un buon numero di sceneggiature da lui siglate. Abituato ad atmosfere boccaccesche e a una comicità che in parte era frutto di una trivialità piuttosto smaccata, Brizzi sembra quasi trovarsi in difficoltà di fronte alla sobrietà imposta dalle leggi di mercato e dal buonismo stimolato dallo spirito dei tempi. In questo modo avendo a disposizione alcuni dei pezzi più pregiati della nostra commedia, parliamo di gente come Diego Abantantuono e Claudio Bisio, abituata a ruoli da mattatore, ma anche di comprimarie di lusso che rispondono al nome di Claudia Gerini e Cristina Capotondi, entrambe habitué del regista romano, Brizzi sembra girare col freno a mano, regalando a ciascuno degli interpreti una drammaturgia troppo soft per innescare le qualità dei suoi cavalli di razza. Adottando il solito metodo del bastone e della carota, con i personaggi sottoposti a un trattamento che dapprima li consegna alla mercè di difetti e idiosincrasie di vario genere e natura, e successivamente li restitutisce a una normalità che smussa qualsiasi spigolo, "Indovina chi viene a Natale?" non riesce a superare l'estemporaneità di qualche assolo ad effetto - quello di Abantuono che rispolvera il suo slang da terroncello per fare ingelosire Francesco con una telefonata in cui si spaccia per un ex amante della figlia - oppure facendo leva sul romanticismo fisiognomico di una Capotondi alla quale nemmeno la perfidia del regista, che a un certo punto la dipinge con un passato da sgualdrina, riesce a scalfire, così come quello di Raoul Bova, reso ancora più docile dalla pantomima tragicomica che lo riguarda. Rivelando fin da subito la qualità del suo infingimento nella sequenza d'apertura nella quale il maestro Claudio Bisio imita con acconciatura e modi di fare palesemente posticci il personaggio di capitano Uncino nella recita scolastica, "Indovina chi viene a Natale?" risulta più perspicace quando riflette sui meccanismi della messinscena: dapprima dichiarandone la sacralità del fine, mediante l'allestimento del presepe vivente a cui Antonio prende parte, permettendo alla storia di incarnare almeno per un attimo il miracolo della notte di Natale. E poi a ridimensionare la nobiltà di quel gesto ma non l'efficacia, l'affermazione dello stesso Antonio che rispondendo alle perplessità del fratello a proposito delle inesattezze della cinebiografia che amplifica i pregi del famoso genitore nascondendone le mancanze, afferma l'assoluta necessità di alterare l'esistenza con elementi di finzione che la rendano degna di essere vissuta. Una sentenza che sembra voler giustificare gli eccessi d'inverosimile che Brizzi mette in campo nel corso del film e che, purtroppo, sono lo specchio dell'inconsistenza del cinema italiano attualmente sugli schermi.
29/12/2013