Era lecito aspettarsi un calo dopo
"Basta che funzioni". Fisiologico, verrebbe da dire. E non tanto (non solo) per questioni anagrafiche, ma perché nella filmografia di Allen a film più brillanti ne sono ciclicamente seguiti di più opachi. Non c'è da stupirsi, soprattutto se consideriamo il motivo per cui Allen continua con accanita costanza a fare film. Lo ha dichiarato nuovamente anche a Cannes (per la presentazione di "Incontrerai l'uomo dei tuoi sogni") di fare cinema come distrazione rispetto ai problemi più gravi: "Lavoro sempre per disperazione, per paura. Finisco un progetto e non voglio tempo libero [...] così non devo starmene seduto su una sedia a pensare in quale terribile situazione si trovano gli esseri umani." La necessità di una routine, di una serialità come via di fuga, che è anche un privilegio destinato a pochi geni.
Se i risultati non sempre sono dei migliori, la sostanza e i temi non cambiano. Allen aggiunge un altro tassello al mosaico (forse pessimista, ma di una lucidità incontestabile) di una filmografia che tratta temi propri forse soltanto alla grande letteratura - a cui il cinema di Allen è vicino come pochi. E allora nuovamente troviamo la grande città (ancora Londra), la middle class colta e frustrata alla disperata ricerca di risposte e soddisfazioni. Allen apre con una voce fuori campo (a cui fa ricorso sempre più spesso con innegabile indolenza) citando uno Shakespeare nichilista, secondo cui la vita è piena di rumore e furore, e senza alcun significato ("full of sound and fury, signifying nothing"); poi ci porta in un intreccio che tocca l'arte e la crisi creativa, il delitto, la colpa, l'avidità, l'amore, il desiderio, il romanticismo, la vecchiaia, la voglia di maternità, ma soprattutto - un tema molto caro - la magia (in questo caso occulta) e l'illusione. "La gente si rifugia nelle persone che offrono loro soluzioni magiche" (e nella lista Allen include tanto i fortune tellers quanto i rabbini e i preti) "perché a volte le soluzioni magiche sono meglio delle medicine. L'unica via di fuga è la magia." Inoltre Allen suona nuovamente i tasti di un tema sempre un po' lasciato da parte nel cinema, l'amore senile (già trattato in "Settembre").
Sembra abbia avuto davvero poca voglia di far ridere. E' un Allen amaro, senza il solito gusto per la battuta, poco sarcastico. A volte stanco e perfino sconnesso. Il confine tra la farsa e la tragedia è quanto mai sottile, soprattutto nella scena in cui Naomi Watts chiede alla madre, Gemma Jones, un prestito, e quest'ultima lo rifiuta ripetendo caparbia e disperata le parole della maga. Difficile dire se sorridere del cinismo dell'una e dell'ingenuità dell'altra, o se invece compiangerle.
Stupisce sempre come Allen sappia muovere i fili dell'intreccio, i propri personaggi come ormai fossero maschere del suo cinema, dall'ochetta svampita allo scrittore in crisi. Con la solita geniale maestria, che a volte si confonde con l'astuzia del vecchio mestierante, allarga il campo a molti personaggi, muove una piccola coralità di coppie che si sfaldano e si compongono, soffrono, amano, lottano, si illudono nell'attesa di uno sconosciuto alto e bruno. Peccato che alcune linee narrative siano lasciate un po' cadere, sia nel finale che nello sviluppo. Sembra che a volte Allen ceda alla tentazione di inscenare momenti da classica commedia teatrale inglese (in particolare le sequenze con la Jones e Ashton-Griffiths) e un altro rammarico è che non le abbia sviluppate di più.
Gli attori come sempre hanno la massima libertà, quasi non sono diretti per niente. Inutile fare elogi a principali (la Watts, Brolin e Gemma Jones) e comprimari (soprattutto quelli inglesi, tra cui Roger Ashton-Griffiths); giochiamo a indovinare chi sta facendo Allen, e questa volta tocca allo straordinario Anthony Hopkins. La regia è come sempre essenziale, quasi superficiale ("Se ho un impegno la sera non faccio 20 riprese, ne faccio 5 e vado a casa perché voglio andare a cena" - ma vediamo di non prendere queste affermazioni troppo sul serio).
Oltre ai topoi del suo cinema, sembra di ritrovare l'Allen di "Interiors", "Alice", "Hanna e le sue sorelle", "Mariti e mogli" e molti altri. Insomma, bisognerebbe stilare una lista enciclopedica dei temi alleniani e cercare alla voce dei relativi film.
Al di là di questo pessimismo, ricorda sempre Allen che "Il compito dell'artista è provare a capire perché, dati questi fatti orribili, si vuole andare avanti a vivere. Non con dei falsi paradisi o inferni, o altre cose senza senso. [...] E' un compito difficile spiegare a qualcuno perché [la vita] è così terribile, e perché è comunque importante andare avanti."
Il rumore e il furore con cui lottano i personaggi alleniani anche in "Incontrerai l'uomo dei tuoi sogni" si conclude in nulla se non in piccoli sprazzi momentanei di felicità (vedi il finale) destinati soltanto a chi sa illudersi - e questa volta Allen sembra simpatizzare per loro più del solito.
Altro capitolo della sontuosa comedie alleniana.
05/12/2010