Rispetto alle opere precedenti dei due fratelli valloni, grandi innovatori del cinema contemporaneo che tuttavia sembravano giunti a un punto senza ritorno della loro brillante carriera, "Il ragazzo con la bicicletta" fa registrare almeno una manciata di sottili, importanti novità. In un ambiente come mai illuminato, nel contesto di una sceneggiatura ben più articolata di quanto i Dardenne ci avessero abituati nei loro precedenti, zavattiniani script, la vicenda che si dipana vede protagonista unico un bambino, quasi mai abbandonato dalla macchina da presa, al centro di un percorso di formazione e riabilitazione al viver civile. Rispetto al dodicenne Cyril, i coetanei, gli adolescenti e gli adulti (tra cui la parrucchiera Samantha, secondo personaggio per importanza interpretato - è un'altra novità - da un volto noto, quello di Cécile De France), che il Nostro incontra costituiscono la personificazione delle tappe di tale percorso, senza giungere mai a rubargli la scena.
Ciò che colpisce di Cyril è il carattere pestifero, l'abitudine alla menzogna sempre e comunque, il non obbedire ai comandi se non per un'utilità: recuperare la sua bici, o ancor più incontrare suo padre. È anzi la costante ricerca di un rapporto genitore-figlio da ritrovare (i difficili rapporti tra uomini o donne di mezza età e la rispettiva prole sono cruciali nella filmografia degli autori) a segnare la prima parte della pellicola (si noti infatti come una delle rare volte in cui il bambino non è inquadrato la mdp isoli il padre e la potenziale madre Samantha). In una scrittura che circoscrive il presente, insistendo sulle azioni del momento volutamente a scapito del passato e di molti aspetti della vita dei personaggi (la madre di Cyril non c'è più, ma di lei e del modo in cui è scomparsa sappiamo poco o nulla; sui rapporti di coppia vecchi e nuovi intrattenuti da Samantha e sui motivi per cui accetta l'affidamento del bambino il film glissa alquanto), risaltano quali valori aggiunti l'incanalamento dei lati positivi del Cyril teppistello - l'intraprendenza, la grinta, l'ostinazione con cui spinge sui pedali della bicicletta - nei condotti delle buone maniere, e il ribaltamento dei ruoli tra "buoni" e "cattivi" operato nel finale in nome non di un facile colpo di teatro, ma di una puntuale analisi sociologica, attuata allargando lo sguardo alle circostanze che spingono a prendere decisioni delicate, e al contesto socio-culturale in cui i personaggi si muovono.
Per la palpabile tensione costante, senza cedimenti, e la drammaticità di eventi e condizione dei protagonisti, è difficile sposare la tesi della "fiaba", ammessa ma al contempo negata dagli autori stessi*. Ciò che accomuna la parabola di Cyril a quella di un classico eroe dickensiano o collodiano sono le tappe formative, costellate di ostacoli e antagonisti, da cui il fanciullo è costretto a transitare, e che il Nostro supera in via definitiva solo quando è finalmente libero da gabbie dorate o opprimenti prigioni: fuori dall'istituto minorile, scaricato dal padre, insofferente alla parrucchiera, tradito dal - diciamo - padre-padrone della baby gang, costretto a subire la ritorsione delle sue ex-vittime, il Cyril che ritroviamo è un "adulto" che ha scelto, non subìto, la convivenza di Samantha, la donna che gli ha strappato i primi sorrisi e l'ha introdotto al senso civico. Anche gli autori lo inquadrano da più lontano, autenticamente libero da costrizioni, parte della società in cui è inserito. In una parola familiare al cinema dei Dardenne, redento.
*"Potrebbe anche essere una favola: il bambino che cerca il padre, il bosco dove si perde, l'incontro con il cattivo, la salvezza con la fata buona. Lo stesso Cyril è un po' un Pinocchio. Deve attraversare delle prove attraverso le quali perde tutte le sue illusioni fino a diventare saggio. Ma per noi è soprattutto un incontro felice tra una donna e un ragazzino, una storia d'amore che non avevamo mai raccontato".
22/05/2011