"Il verdetto" evoca il titolo di un film di Sidney Lumet con Paul Newman del 1982 che sanciva la felice indole del regista per il legal drama, genere che aveva contribuito a forgiare prima con il fondamentale "La parola ai giurati" (1957), poi con "A prova di errore" (1964).
Poteva essere negli intenti un canto del cigno capace di evocare il genere, chiudendolo.
Ma fu invece un nuovo inizio che nelle aule dei tribunali entrava, si sedeva, ascoltava, annotava, deliberava. Non soltanto il cinema si è successivamente adagiato alla corte della giustizia, con risultati altalenanti per non dire flebili, rasentando una ripetivitità masticatrice di parole, formule e soluzioni che sanno accontentarsi di piccole e poco significative variazioni. Non solo il grande schermo, si diceva, ma la serialità televisiva ha fatto di studi legali e dintorni ambienti di casa propria. Non limitandosi al proverbiale "caso della puntata" ma espandendo processi e risoluzioni in modo da scandagliare la mente del legale come e più del caso da districare.
In due tra i più importanti serial - "The Good Wife" e "Damages" - femminili erano i personaggi protagonisti da approfondire in lungo e in largo attraverso i tragitti giudiziari. E una donna è l'assoluta protagonista di "The Children Act - Il verdetto". Non un avvocato come le colleghe del piccolo schermo ma addirittura Giudice dell'Alta Corte di Londra.
Dagli Stati Uniti all'Europa e un sagace dipanarsi delle vicende narrate che trova l'illustre origine nel romanzo di Ian McEwan "La ballata di Adam Henry" (2014). Come altre storie narrate dallo scrittore inglese, qui anche sceneggiatore del film, è la presa di coscienza di una persona che si confronta con le difficoltà di condurre un'esistenza metodica e lineare propria, tra l'altro, dell'ipotetico immaginario che suggerisce la figura di un giudice.
Ne esce una trasposizione sul grande schermo firmata Richard Eyre, regista nelle sue prove migliori capace di rendere una mirabile sensibilità nella costruzione dei personaggi (specie femminili, per l'appunto) e Emma Thompson, qui davvero straordinaria nel restituire con equilibrio e senza sfoggi di bravura precostruiti le sfumature poste in pensieri ed azioni, attuate e no, della sua Fiona Maye.
Da subito il film ci presenta una manciata di casi giudiziari non inerenti al più sovraesposto diritto penale, ove ragioni e torti rientrano in un bacino decisionale più ristretto e, di conseguenza, di risoluzioni inconvertibili, almeno nelle intenzioni, ma storie sui diritti familiari. Capo della Family Division, la Maye è totalmente assorbita dal proprio lavoro e al contempo vede spegnersi il proprio matrimonio, ormai trascinato da tempo in uno quotidianità senza passioni, con emozioni mai rigenerate.
Gli intenti, prima di McEwan e adesso di Eyre, sono quelli di associare parallelamente fino ad un obbligato mescolamento, gli obblighi lavorativi e le questioni private. I dilemmi morali del dentro e del fuori. La meticolosa etica della protagonista finisce suo malgrado per incastrare anche la sua sfera privata: liddove, però, gli aspetti decisionali hanno l'obbligo di travalicare credi e dogmi religiosi assumendo una distanza emotiva tra giudice e giudicanti, il distacco tra l'individualità propria e quella dei cari non riesce a campare di vita propria.
Nella sua prima metà "The Children Act" poggia con fermezza sulla delicata fase processuale: un ragazzo non ancora maggiorenne può rifiutare con cognizione di causa, obbedendo ai dettami della sua fede religiosa, una trasfusione di sangue che potrebbe salvargli la vita? Indagatorio, lo sguardo etico assunto dalla narrazione sposa in pieno quello della sua protagonista, che giunge nell'ospedale che ospita il giovane Adam nell'intento di ampliare a fondo il ventaglio delle altrui ragioni ma separando credi religiosi e degenerazioni fanatiche. Il film opera con una scrittura di classica finezza che sa mantenere un buon equilibrio tra le parti, ponendo più di una domanda e mettendo il dito nella piaga nelle certezze precostruite delle istituzioni familiari.
Nella sua seconda metà la pellicola supera le fasi processuali ed intraprende un percorso ancor più incentrato sulla propria figura femminile. Fiona Maye si ritrova ad affrontare gli ultimi scampoli di vita lavorativa mentre il giovane e grato Adam prova ad introdursi, oltre il lavoro, nella sua vita.
Così come in precedenza, il film ha il buon senso di evitare scene madri e progressioni melodrammatiche che avrebbero facilmente fatto scivolare la materia verso improprie spettacolarizzazioni. L'impianto custodisce la sua asciuttezza e rischia quando le due distanti anime vaganti (la donna, il ragazzo) si sfiorano attraverso la musica, la poesia di Yates, la solitudine. Alla ricerca di una invisibile e non necessariamente conscia spiritualità che avrebbe però avuto bisogno di una statura kieslowskiana per elevarsi oltre una dignitosissima e piana natura delle cose terrene.
cast:
Emma Thompson, Stanley Tucci, Fionn Whitehead, Anthony Calf, Jason Watkins, Ben Chaplin
regia:
Richard Eyre
titolo originale:
The Children Act
distribuzione:
Bim Distribuzione
durata:
105'
produzione:
Toledo Productions, BBC Films, FilmNation Entertainment
sceneggiatura:
Ian McEwan
fotografia:
Andrew Dunn
scenografie:
Peter Francis
montaggio:
Dan Farrell
costumi:
Fotini Dimou
musiche:
Stephen Warbeck