Il senso vero dell'ultima fatica cinematografica di Mario Martone sta tutto nel consapevole stravolgimento che il regista napoletano fa della commedia teatrale di Eduardo De Filippo, comparsa sul palcoscenico per la prima volta nel 1960. E il valore del suo film, più o meno apprezzabile, è conseguente a una valutazione di questa scelta dirompente. Da sempre abituato a lavorare con grande meticolosità sull'efficacia della scrittura, Martone, insieme alla moglie Ippolita Di Majo, compie una scelta quasi rivoluzionaria, stavolta. Da una parte trasforma la figura dello stesso protagonista, cui cambia letteralmente i connotati rispetto a come lo aveva immaginato De Filippo; e dall'altra parte modifica radicalmente anche il suo ruolo nel sottobosco della società partenopea, diretta conseguenza, fondamentalmente, del differente identikit che va a dare corpo e voce ad Antonio Barracano.
In primo luogo, si diceva, Martone mette in scena un "sindaco" poco più che quarantenne, dall'aspetto virile, aggressivo, sanguigno: è questo il lavoro che ha fatto sul personaggio Francesco Di Leva, che esaspera accenti, espressioni e movimenti fisici proprio per amplificare quel ruolo anche carnale che Barracano svolge nel rione. Ma nel testo originale, che Eduardo aveva ovviamente cucito addosso a sé, il personaggio è descritto come un signore anziano, capace di farsi portatore di una saggezza ancestrale con cui, insieme al carisma innato, riesce nell'obiettivo di dirimere questioni di ogni tipo, risolvere situazioni ai margini della comunità, evitando che i singoli eventi sfocino nella pura criminalità, laddove la legge, in certi quartieri di Napoli, arriva a fatica. E poi c'è la città come la vede Martone, fotografata e messa in scena con contrasti visivi e sonori che ricordano da vicino quell'immaginario da "nuova camorra" ritratto da Matteo Garrone e poi da altri (non ultimo Claudio Giovannesi nel suo "La paranza dei bambini"). E qui c'è il secondo equivoco, che si somma al primo. Se già il tipo umano cui questo Barracano fa riferimento suscita perplessità per il suo atteggiarsi quasi a capomafia (ma in realtà il sindaco vuole stare al fianco della legge, solo vorrebbe agire ai suoi confini consapevole che da sola essa non basta), Napoli e, in generale, la cornice scenica che accompagna le vicende del film, una volta che Martone porta fuori da un teatro l'opera, assume le sembianze di un luogo ideale per inscenare un vero e proprio gangster movie, andando a inquadrarsi perfettamente in quel filone crime campano che ha ormai una sua estetica, un suo vocabolario, una serie di snodi narrativi riconoscibili e codificati.
Scelta consapevole e ardita? Oppure risultato di una pigra rilettura della commedia che ha portato a un maldestro adattamento? Lungi da noi il voler svelare il finale per chi non conosce ancora la storia de "Il sindaco del rione Sanità", però bisogna precisare che anche la svolta conclusiva, tradimento ulteriore del soggetto originario, desta qualche perplessità, proprio per questo suo seguire dei binari "altri" rispetto al volere originario dell'opera, andando anche in questo caso a sottolineare un nichilismo di fondo proprio di uno stile narrativo che, in teoria, ben poco avrebbe a che vedere con questo film. Martone, che già altre volte aveva usato la sua Napoli come teatro a cielo aperto per raccontare un mondo che funziona con un linguaggio e delle consuetudini tutte sue, aveva sempre evitato accuratamente di ricadere nella cinematografia "di genere", proprio perché, se di criminalità pure si deve parlare, lo si dovrebbe fare come elemento di fondo che traspira attraverso strade e vicoli, parole e gesti. Il paradosso di questo suo ultimo lungometraggio è che, quasi involontariamente, stavolta cade nell'equivoco sempre finora allontanato. Il personaggio di Antonio Barracano dovrebbe essere un anello di congiunzione tra il giusto e la tentazione verso l'errore, un personaggio che si tiene ben lontano dal rischio di apparire come un concorrente dei tanti padrini senza nome. Eppure Martone trasfigura il suo protagonista, confondendolo nel grigiore di criminali o aspiranti tali. A meno di non credere a un'ambiziosa opera di ricongiunzione tra l'umanità afflitta di Eduardo e l'estetica di un cinema levigato e iperrealista, riesce difficile giustificare le mosse dell'autore.
cast:
Francesco Di Leva, Massimiliano Gallo, Roberto De Francesco, Adriano Pantaleo, Daniela Ioia
regia:
Mario Martone
titolo originale:
Il sindaco del rione Sanità
distribuzione:
Nexo Digital
durata:
115'
produzione:
Indigo Film, Rai Cinema, Malìa Film
sceneggiatura:
Mario Martone, Ippolita di Majo
fotografia:
Ferran Paredes Rubio
scenografie:
Carmine Guarino
montaggio:
Jacopo Quadri
costumi:
Giovanna Napolitano
musiche:
Ralph P