Presentato a Venezia 78 per la sezione "Giornate degli autori", "Il silenzio grande" è il quinto film di Alessandro Gassmann. Frutto della collaborazione dello sceneggiatore Maurizio De Giovanni, la pellicola è una commedia ambientata nella Posillipo degli anni 60 incentrata sull’incomunicabilità all’interno di una famiglia un tempo benestante, ma ora economicamente decaduta.
La matrice teatrale è fin da subito evidente: le scene in esterni si limitano a mostrarci i pochi personaggi che giungono nella principesca villa, mentre quelle in interni sono per lo più una successione di dialoghi tra due attori per volta. Ancor più trasparenti la scrittura e il mood di De Giovanni: il protagonista che rimugina interrogativi a un interlocutore di fatto assente che però tende a coincidere con lo spettatore, il quale viene così coinvolto dalla diegesi e, quel che non ti aspetti, una fotografia che (almeno per gli interni) più che al teatro rimanda alla serie fumetti autoconclusivi sceneggiati da De Giovanni, aventi per protagonista il commissario Ricciardi, infaticabile investigatore nella Napoli degli anni 30. In questi fumetti, accanto al bianco e nero compare solo un colore (a volte il giallo, a volte l’azzurro, a volte il verde) che di fatto tende ad obliterare la presenza dei due colori base, stendendo sulla città una patina di uniformità, di fatalismo, quasi di filosofica accettazione dei mali che l’affliggono. Quanto al film, è interessante osservare come, senza ricorrere al seppiato, esatto corrispettivo di quanto detto sul fumetto, si è optato per la desaturazione del colore. Con tale operazione, da un lato si dà agli ambienti un’atmosfera spenta, plumbea, stantia, raramente ravvivata dalla musica monocraticamente imposta dal protagonista, dall’altra si assimila il colore dell’abbigliamento di quest’ultimo all’ambiente circostante. Valerio Primic ha infatti le stesse dominanti cromatiche dei libri e delle pergamene di cui ama circondarsi e con cui sembra confondersi: colori terrei, come l’ingrigito marrone o l’ocra stinto.
Coerentemente col quadro cromatico descritto, Primic ha come unica occupazione l’amore per i libri, fonte d’ispirazione delle proprie opere letterarie. Incurante della polvere li ripone secondo un metodo di classificazione bizzarro che si fa beffe tanto di Dewey quanto del senso comune: quello della "suggestione emotiva"; i libri vengono cioè riposti insieme sulla base dell’affinità delle emozioni che suscitano, senza tener conto alcuno degli autori, dell’argomento o dell’epoca in cui sono stati scritti. Il protagonista è un personaggio eccentrico che ha sacrificato gli affetti a una vita libresca. L'assenza di inquadrature totali accentua la sensazione della poca coesione familiare. Nei dialoghi da Kammerspiel che egli intesse ora con la moglie Rose (una Margherita Buy perfetta per questo ruolo), ora coi figli Massimiliano e Adele, emerge un uomo distratto e anaffettivo. La moglie gli fa notare che bisogna vendere la villa visto che la famiglia è rimasta senza un soldo. Ma Primic è ostinato: non vuole privarsi di quella reggia, di quello studio, di quella caverna platonica nella quale l’ingresso della luce lattiginosa lo spinge a rinchiudersi in sé stesso piuttosto che ad aprirsi al mondo. Il figlio rivela spontaneamente la propria omosessualità dopo aver fugacemente ripercorso le tappe della propria vita. La figlia, altrettanto spontaneamente, lamenta di essere incinta a seguito di relazioni malate dovute all’ingombrante figura paterna, costantemente presente, ma mai nel modo dovuto. Il silenzio grande, per l’appunto. Una sorta di complesso di Elettra, quello di Adele. Senza scomodare Jung, tuttavia, a far ragionare e a far maieuticamente emergere il buon senso in Primic è Bettina, la governante, una donna che ricorda il tipo fisso di un’amplissima tradizione comica: quello del servo intelligente che, per quanto socialmente e culturalmente subalterno, tiene testa al padrone. Apparentemente, ciò che stona nel film è tuttavia il titolo, che vuole alludere alla mancanza di dialogo.
Tuttavia, giacchè tutti, nessuno escluso, hanno da dire e parlano, non si potrebbe sostenere che il tarlo che rode la compattezza della famiglia Primic è il fatto che non ci si ascolti? In questa prospettiva, come non essere riconoscenti al regista per aver messo a nudo una problematica che è ben più viva oggi di quanto non lo fosse 50 anni fa?
cast:
Emanuele Linfatti, Marina Confalone, Antonia Fotaras, Margherita Buy, Massimiliano Gallo
regia:
Alessandro Gassmann
titolo originale:
Il silenzio grande
distribuzione:
Vision Distribution
durata:
107'
produzione:
Paco Cinematografica
sceneggiatura:
Maurizio De Giovanni, Alessandro Gassmann
fotografia:
Mike Stern Sterzynski
scenografie:
Antonella Di Martino
montaggio:
Marco Spoletini
costumi:
Lavinia Bonsignore
musiche:
Pivio, Aldo De Scalzi
Valerio Primic, romanziere in declino, si oppone inutilmente al proposito della moglie Rose di vendere la villa, che per lo scrittore è un luogo dell’anima. Anche i figli Massimiliano e Adele sembrano tagliati fuori dal microcosmo paterno. La concordia familiare (non solo economica), sembra finire dopo lunghi dialoghi che sanciscono tuttavia vuoti affettivi pregressi.