Sì ma per le piante è più facile (...): passano senza problemi a qualunque fase successiva mentre per una persona adattarsi è quasi una vergogna: insomma... è come fuggire
(dal film)
Attenti a quei due: Spike Jonze, creatore di videoclip convertitosi al grande schermo, e Charlie Kaufman, sceneggiatore (in seguito cimentatosi anche in cabina di regia) in preda ai disagi dell'esistenza, uniscono le forze una seconda volta all'indomani dell'acclamato "Essere John Malkovich". Ne viene fuori "Il ladro di orchidee", vera e propria ode all'amore, alla creatività e al Cinema innalzata attraverso un racconto tra i più stravaganti dello scorso decennio. L'antefatto del progetto, se possibile ancor più bizzarro del risultato finale, giunge dal reale tentativo di Kaufman di adattare per il cinema l'omonimo romanzo di Susan Orlean (di qui una delle possibili interpretazioni del polisemico original title "Adaptation"). In realtà, sarà proprio questo proposito dallo sfortunato avvenire -si rivelò fin troppo arduo tradurre il libro secondo la grammatica propria dell'audiovisivo- a porsi quale genesi dell'opera, che divenne una sorta di racconto autobiografico sulla difficoltà ma anche sulla necessità di amare e vivere.
Combinando fin dai primi secondi svariate tecniche cinematografiche (come il time lapse, su cui prenderà appunti Aronofsky, o le finte immagini dal backstage), Jonze presenta la millenaria odissea del nostro pianeta con l'ironia paradossale di chi si interroga sui perché dell'esistenza con disincantato cinismo (per esempio, è mai possibile che queste trasformazioni abbiano condotto ad individui incapaci di vivere?). Attraverso una rappresentazione di sé medesimo, Kaufman psicanalizza il proprio essere (non quello di Malkovich) e per farlo ricorre all'artificio dell'inseparabile omozigote di cronenberghiana memoria, che funge, oltre che da motore per il racconto, anche da irraggiungibile modello di successo. E' inoltre palese che nel Kaufman-personaggio (e, parzialmente, in Chris Cooper) il Kaufman-autore individui la sineddoche dell'uomo moderno, in bilico tra nichiliste constatazioni e seduzioni estatiche (pur essendo pessimista, il film riconosce il potere ipnotico del mondo).
Costola dell'eccentrico predecessore, questa seconda incursione nello sfibrante universo di Kaufman eredita da "Being John Malkovich" l'ironia grottesca e il senso di smarrimento e frustrazione, ma vi inietta un inedito lirismo affidato ai romantici interludi con lo strepitoso Chris Cooper. E' infatti attraverso una struttura a puzzle che il film trova il suo passo e mira ad indagare sull'intera esistenza umana e sulla sua peregrinante ricerca di un amore, un senso, un perché. La sceneggiatura, che ha l'idea vincente si sdoppiarsi (come Cage) in un duplice piano narrativo destinato a collassare in un unico tempo filmico, si rivela l'asso nella manica del regista, che saturando le potenzialità dello script dà vita ad un folgorante mosaico sulla condizione umana, puntuale nel farsi beffe di quanto previsto dalle regole del buon copione (senza anticipare altro, l'epilogo verrà risolto secondo modalità sconsigliate dagli esperti del settore).
Ma la complessità dell'opera e la sua riuscita complessiva sono da attribuire al genio dello scrittore o alla visionarietà del regista? In altre parole, risulta difficile epurare se Jonze sia un altro Charlie Kaufman (cioè se ne condivida in toto le considerazioni sociali, filosofiche, esistenziali) o se invece sia soltanto un interprete/traduttore in immagini del suo estenuante pessimismo. L'irrisolta esistenza umana e il suo perenne disagio (ben sintetizzati dall'immagine di copertina, che ricorda vagamente le illustrazioni dei Monty Python) sono, almeno ad un'occhiata superficiale, farina del sacco di Kaufman. Non va tuttavia dimenticato che a distanza di qualche anno i due prenderanno le distanze l'uno dall'altro presentando le loro creazioni autonomamente: ex-post si può pertanto osservare, al netto della ridotta filmografia di entrambi, come Jonze abbia ormai inglobato all'interno del suo stesso modo di pensare e di girare film il punto di vista del suo mentore nei confronti della solitudine umana ("Nel paese delle creature selvagge") e dei suoi illusori stratagemmi per eluderla ("Lei"), tematiche che già permeavano titoli come quello in questione. Ad ulteriore testimonianza di quanto asserito, la componente biologico-naturalistica presente in queste prime sceneggiature di Kaufman (lo scimpanzé prigioniero all'esordio, la simbiotica unione tra l'ape e l'orchidea qui) deflagrerà in tutta la sua potenza nella sottovalutata versione tutta jonziana di "Where The Wild Things Are".
Attraverso l'ottima padronanza della sintassi e della calligrafia cinematografiche, Jonze e Kaufman si rassegnano alla nostra natura di eterni prometei, che vorrebbero spontaneamente evolversi e invece sono costretti a simulare un adattamento (forse) inesistente.
cast:
Nicolas Cage, Chris Cooper, Meryl Streep, Brian Cox, Tilda Swinton, Cara Seymour
regia:
Spike Jonze
titolo originale:
Adapation
distribuzione:
Columbia Pictures
durata:
114'
produzione:
Charlie Kaufman, Jonathan Demme, Vincent Landay, Edward Saxon
sceneggiatura:
Charlie Kaufman
fotografia:
Lance Acord
scenografie:
K.K. Barret
montaggio:
Eric Zumbrunnen
costumi:
Casey Storm
musiche:
Carter Burwell