Complici le celebrazioni per i cinquant’anni della Missione Apollo 11, che il 20 luglio 1969 portò il primo uomo a calpestare il suolo lunare, nel 2019 non sono di certo mancate le opere cinematografiche pronte a rispolverare temi, quelli riguardanti il nostro satellite, da tempo accantonati. E non soltanto a livello internazionale, dove ha dominato la scena il documentario "Apollo 11" di Todd Douglas Miller (ma solo perché Damien Chazelle aveva deciso di bruciare tutti sul tempo, facendo uscire il suo biopic su Neil Armstrong, "First Man – Il primo uomo", già nel 2018, in netto anticipo rispetto al cinquantenario).
Anche in Italia, infatti, il 2019 ha registrato un’insolita fioritura di pellicole a tema lunare. Ma da buoni sognatori (del resto gli italiani sono un popolo di navigatori, più che di astronauti, nonostante i recenti exploit della Cristoforetti e di Parmitano), i film italiani "sulla Luna" si sono fatti notare per un approccio favolistico più che fantascientifico. E soprattutto - coincidenza interessante - per i forti connotati regionalisti.
E così, dopo l’esilarante, ma anche emozionante, "L’uomo che comprò la Luna" – secondo lungometraggio di Paolo Zucca, che ha ambientato la sua “storia lunare” nella nativa Sardegna – è toccato a un altro film italiano rispolverare quegli stessi temi. "Il grande passo", tuttavia, approda nei cinema della penisola soltanto in questi giorni. E ciò per un duplice ordine di motivi. Innanzitutto, perché la produzione ha optato, prima della distribuzione in sala, per un passaggio festivaliero (il film è stato presentato in concorso, lo scorso novembre, al trentasettesimo Torino Film Festival). Poi c’è stato il Covid, che ne ha fatto slittare l’uscita, inizialmente programmata per il periodo poi divenuto di lockdown. Nel mentre, il “gran rifiuto” alle proposte di far approdare il film direttamente sulle piattaforme di streaming, scelta sicuramente coraggiosa, coi tempi che corrono.
"Il grande passo" è il secondo lungometraggio di finzione di Antonio Padovan, giovane regista trevigiano che ha deciso di fare del legame con la terra in cui è nato e cresciuto (prima di emigrare negli States per la sua formazione da cineasta) uno degli elementi caratterizzanti delle sue opere. E così, dopo l’esordio a base di bollicine in "Finché c’è prosecco c’è speranza", ne "Il grande passo" Padovan lega il suo Veneto, e in particolare la zona del Polesine, ad un’improbabile missione lunare.
La storia è quella di due fratelli – stesso padre, madri diverse – che vivono uno a Roma e l’altro in provincia di Rovigo. Mario gestisce un negozio di ferramenta nella capitale. Dario, invece, vive da solo in una cascina di campagna in un paesotto del delta del Po, dove è ritenuto da tutti un po’ svitato. Mario si recherà dal fratello - che aveva veduto una sola volta in vita sua - quando apprenderà che questi ha dato fuoco al campo del vicino. Giunto nel nord Italia, Mario dovrà evitare che il fratello venga sottoposto a t.s.o. e ricoverato in una struttura. Fino a quando scoprirà il suo segreto: Dario, dopo aver compiuto studi in ambito aerospaziale, ha costruito un razzo con cui conta di poter andare sulla Luna.
I temi principali de "Il grande passo" sono quelli della vocazione e della famiglia. Il primo è focalizzato sul personaggio di Dario (Giuseppe Battiston), un uomo solo e irriso da tutti i suoi compaesani, ma che, da quando il 20 luglio del 1969 assistette alla diretta dell’allunaggio, coltiva un sogno apparentemente irrealizzabile, a cui, ciò nonostante, ha dedicato tutto se stesso. Il tema familiare poggia, invece, sulle (larghe) spalle di Mario (Stefano Fresi), il classico quarantenne eterno ragazzone, che si reca dal fratello maggiore in difficoltà colto da un afflato di responsabilità, anche perché il loro padre è un irresponsabile che nella vita ha collezionato soltanto debiti, mogli e fallimenti, e non ha intenzione di aiutare il figlio. Nell’economia del racconto, il padre dei due rappresenta dunque – e chiaramente – la visione negativa dei legami familiari, eppure Dario stravede per quell’uomo che era con lui la notte in cui Armstrong poggiò il piede sulla Luna. Quell’uomo che, con poche parole, seppe dargli una motivazione da inseguire per una vita intera, prima di abbandonarlo. Ma emergono anche, pur secondariamente, i temi della comunità e dell’emarginazione sociale, già affrontati da Padovan, sebbene nel diverso contesto del thriller-poliziesco, nella sua opera prima.
"Il grande passo" si regge inevitabilmente sull’alchimia tra i due attori protagonisti, che si viene a creare col trascorrere dei minuti, in un climax emotivo ben gestito dal regista veneto. Battiston aveva già lavorato con Padovan in "Finché c’è prosecco c’è speranza", mentre Fresi, curiosamente, era apparso proprio in "L’uomo che comprò la Luna", al fianco di Francesco Pannofino. E Battiston e Fresi sono due tra i più interessanti interpreti del cinema italiano contemporaneo, dimostrandolo qui una volta di più, con una performance di assoluto livello, giustamente premiata al Torino Film Festival con il riconoscimento ex aequo al miglior attore. Sarebbe stato ingiusto, infatti, scindere le prove – pur in ruoli così diversi – di due interpreti che, letteralmente, reggono il film sulle proprie spalle, occupando con la propria corpulenza i frequenti piani medi cui Padovan sceglie di affidarsi per far risaltare una presenza scenica sicuramente importante.
I protagonisti sono affiancati da una nutrita schiera di interpreti minori, tra cui spiccano quelli che vestono i panni dei clienti del bar del paese, che hanno, da un lato, il compito di elevare – volutamente – il tasso di provincialismo del film (emblematica l’accoglienza a suon di sguardi circospetti del forestiero Mario al suo arrivo in paese), e che, dall’altro, contribuiscono ad alzare il livello comico di un’opera che è in realtà una commedia agrodolce, illustrando con efficacia manie e fissazioni della gente comune (vedasi l’esilarante psicosi da zapping dell’avventore del bar).
Il regista, di contro, convince di meno quando si cimenta in alcuni movimenti di macchina un po’ troppo scolastici (quello che apre il film, ad esempio) o apparentemente ingiustificati (il lento avvicinamento a Mario mentre questi sta consumando una sobria cena a base di uova sode insieme al fratello). Non manca anche qualche banalizzazione in fase di scrittura (la sceneggiatura è del regista, insieme a Marco Pettenello): il modo in cui Mario cambia idea dopo aver inizialmente rifiutato di correre in soccorso del fratello, ad esempio, o la presenza un po’ forzata di un personaggio femminile che sembra messo lì solo per onorare le quote rosa.
Peccatucci veniali, per un’opera comunque intensa, almeno sul piano narrativo, e portatrice di un messaggio sicuramente non banale, per quanto abusato: quello di coltivare i propri sogni, infischiandosene dei giudizi altrui.
cast:
Giuseppe Battiston, Stefano Fresi, Camilla Filippi, Roberto Citran
regia:
Antonio Padovan
distribuzione:
Tucker Film, Parthénos
durata:
96'
produzione:
Ipotesi Cinema, Stemal Entertainment, Rai Cinema
sceneggiatura:
Antonio Padovan, Marco Pettenello
fotografia:
Duccio Cimatti
scenografie:
Gaspare De Pascali, Mattia Lorusso
montaggio:
Paolo Cottignola
costumi:
Andrea Cavalletto
musiche:
Pino Donaggio