Per Fabio Grassadonia e Antonio Piazza raccontare una storia equivale ogni volta alla messa in discussione iniziale del dato oggettivo attraverso un processo destinato a prendere forma davanti agli occhi dello spettatore con una vertigine visiva. Lo è in “Salvo” la scelta di disumanizzare la personalità del protagonista riducendo le sue funzioni al riflesso condizionato dell’occhio che attende il richiamo della sveglia per far entrare in azione la sua macchina da guerra. Lo era in “Sicilian Ghost Story” la rivoluzione della mdp che preannunciava la dimensione favolistica dichiarata nel titolo. Lo è ancora di più l’inizio di “Iddu” in cui l’unità di sguardo, di spazio e di tempo è destinata a sgretolarsi attraverso punti di vista e ricordi che da una parte ricostruiscono la formazione criminale del giovane Matteo Messina Denaro, dall’altra sembrano il segno di una deflagrazione esistenziale che di li a poco, dopo la morte del padre e mentore, costringerà il futuro boss a rinunciare alla vita attraverso una latitanza che non prevede libertà.
Se i primi minuti sono quelli fondanti rispetto a ciò che viene dopo, non c’è dubbio che “Iddu” sia un film di morte e di morti. Non solo perchè la storia si apre all’interno di un casolare dove Messina Denaro assiste agli ultimi attimi di vita del genitore per poi sostituirlo scavandosi da solo la propria tomba con un’esistenza che tale non è. Lo stesso Catello (interpretato in maniera superba da Toni Servillo), interlocutore privilegiato di Messina Denaro, attraverso un rapporto epistolare orchestrato dai servizi segreti per scovare il famoso latitante, ne è una delle sue tante versioni: magari più vitale di altre per il desiderio di non abdicare al sogno della vita - quella di costruire un albergo che gli consenta di pagare i suoi debiti e assicurare ai familiari una vita tranquilla - ma comunque mortifera (“sei un ex in tutto” gli ricorda la moglie in maniera sprezzante) per i fallimenti che lo hanno portato prima in prigione e poi a tradire se stesso consegnandosi al nemico. Tombale - alla pari dell’abitazione in cui si rifugia Messina Denaro - è l’appartamento dove Catello ritrova la famiglia dopo essere uscito di prigione e ancora è la morte che invoca quando sostiene che per riuscire a convincere il boss a eleggerlo a interlocutore privilegiato si dovrà evocare dall’oltretomba la figura del padre a cui peraltro lui stesso cercherà di sovrapporsi nelle parole rivolte al potente latitante.
Appartenenti alla stessa cultura e accomunati dal medesimo destino, quello di essere dei Dead Men Walking, Messina Denaro e Catello sono due versioni della stessa medaglia, espressioni di un regno parallelo - quello che si oppone alla legalità dello Stato e delle sue Istituzioni - vissuto da posizioni opposte: Messina Denaro nella posizione del re - come testimonia il quadro che fa bella mostra sopra il divano in cui è seduta la sorella nel quale lo vediamo ritratto con la corona in testa - Catello, in quella del giullare di corte chiamato al suo cospetto per distrarlo dalla noia.
Come era già successo in “Sicilian Ghost Story” i registi siciliani raccontano la mafia trasfigurandone il paesaggio e le sue figure. In “Iddu” la sublimazione del reale si compie attraverso l’alterazione dei toni e dei registri espressivi che esasperando la tragedia con accenti talvolta grotteschi, talvolta surreali, altre volte onirici, puntano al corpo dei “due stati” - quello legale e quello illegale - facendo del ridicolo il mezzo per opporsi in qualche modo all’ineluttabilità del male. Perchè se è vero che a esserlo è innanzitutto la natura mafiosa con i suoi protagonisti, in “Iddu” non si salva neanche chi, almeno sulla carta, dovrebbe presentarsi anche in termini formali esente da tic e ossessioni, che invece finiscono per deformare allo stesso modo il corpo dei difensore della legge, primo fra tutti il Colonnello dei Carabinieri che Fausto Russo Alesi interpreta con talento fregolesco.
Se la personalità di Messina Denaro è destinata a rimanere in parte intellegibile alla pari delle possibili collusioni tra mafia e stato, “Iddu” mette in luce soprattutto l’influenza della figura paterna che il montaggio fa tornare in vita con flashback che alla maniera di “Sicilian Ghost Story” sembrano non interrompere il continuum della narrazione accentuando la dimensione fantasmatica dell’intero testo. Nel continuare a rappresentare la Sicilia Grassadonia e Piazza questa volta lo fanno affidandosi soprattutto alla capacità degli attori di diventare “carne” delle loro idee. Uno scarto rispetto al passato testimoniato dall’importanza degli interpreti tutti, capaci come sono di creare delle maschere capaci di reinterpretare gli stereotipi mafiosi con una fare da commedia dell’arte e, perché no, memore di quella italiana. Quando Elio Germano detta il da farsi all’irreprensibile segretaria interpretata da Barbora Bobulova sembra di assistere al dettato di Totò a Peppino De Filippo in “Totò Peppino e la…malafemmina”. Magari esageriamo un po' ma il paragone non sembra così fuori luogo.
Presentato in concorso all’81esima Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica,“Iddu” è l’ultimo dei film italiani inseriti nel concorso ufficiale. Ai giurati il compito di decidere se uno di questi sarà meritevole di un premio.
cast:
Elio Germano, Roberto De Francesco, Filippo Luna, Betti Pedrazzi, Antonia Truppo, Tommaso Ragno, Fausto Russo Alesi, Giuseppe Tantillo, Barbora Bobulova, Daniela Marra, Toni Servillo, Vincenzo Ferrera
regia:
Antonio Piazza, Fabio Grassadonia
distribuzione:
01 Distribution
durata:
122'
produzione:
Indigo Film, Rai Cinema, Les Films du Losange
sceneggiatura:
Fabio Grassadonia, Antonio Piazza
fotografia:
Luca Bigazzi
scenografie:
Gaspare De Pascali
montaggio:
Paola Freddi
costumi:
Andrea Cavalletto
musiche:
Colapesce